Trentatré operai sono morti per patologie legate alla lunga esposizione all'amianto dopo aver lavorato nella fabbrica in cui per quasi dieci anni, a partire dalle fine degli anni Settanta, sono state bonificate le carrozze ferroviarie. Almeno altri 200 sono malati. Nel processo, durato quasi sei anni, è stata ricostruita la storia delle responsabilità
Arrivano le prime condanne per i responsabili delle morti di 33 operai malati di patologie legate alla lunga esposizione all’amianto dopo aver lavorato all’Isochimica di Avellino. Il verdetto di primo grado del tribunale del capoluogo irpino è di dieci anni di reclusione per Vincenzo Izzo, ex responsabile della sicurezza della fabbrica in cui per quasi dieci anni, a partire dalle fine degli anni Settanta, sono state bonificate dall’amianto le carrozze ferroviarie, il suo vice, Pasquale De Luca, e Aldo Serio e Giovanni Notarangelo, funzionari di Ferrovie dello Stato. Alcuni ex operai e i familiari dei 33 morti hanno atteso la sentenza a Borgo Ferrovia, davanti ai cancelli dell’azienda nella quale cominciarono a lavorare giovanissimi, inconsapevoli dei gravi pericoli per la salute connessi all’amianto inalato nel processo di scoibentazione delle carrozze.
Il collegio giudicante (presidente Sonia Matarazzo, giudici a latere Pier Paolo Calabrese e Gennaro Lezzi) ha disposto anche una provvisionale di 50mila euro per ognuna delle famiglie dei 33 ex operai deceduti per patologie correlate alla prolungata esposizione. La pena corrisponde alla richiesta fatta dalla pubblica accusa rappresentata dal sostituto procuratore di Avellino, Roberto Patscot, per i reati di disastro doloso, omicidio colposo, lesioni personali e rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro. Assolti per non aver commesso il fatto gli altri imputati che dovevano rispondere di concorso in disastro colposo per omissione di atti di ufficio. Tra questi l’ex sindaco di Avellino Giuseppe Galasso e la Giunta comunale del tempo, tre dirigenti comunali, i titolari delle imprese che si sono succedute nei lavori di bonifica del sito, il curatore fallimentare dell’Isochimica. L’accusa aveva chiesto condanne da due anni e sei mesi a due anni.
Assolto anche un altro ex sindaco di Avellino, Paolo Foti, rinviato a giudizio con l’accusa di rifiuto in atto di ufficio, e il medico della Asl responsabile dell’unità amianto, per non aver commesso il fatto. Per entrambi era stata chiesta la condanna a sei mesi di reclusione. Il processo, durato quasi sei anni, si è svolto nell’aula bunker del carcere di Poggioreale di Napoli a causa della mancanza di spazi adeguati a disposizione del tribunale di Avellino. Nel corso delle 127 udienze è stata ricostruita la storia delle responsabilità che hanno portato alla morte per patologie collegate alla prolungata esposizione di amianto di 33 ex operai mentre almeno altri 200 ex operai sono ammalati conclamati di patologie asbesto correlate.
“E’ stato chiarito definitivamente che il mandante della tragedia vissuta all’Isochimica sono le Ferrovie dello Stato”, commenta Carlo Sessa, l’ex operaio che per decenni si è battuto per avere verità e di giustizia. La sentenza arriva trentasei anni dopo la prima denuncia presentata dal Wwf che nel 1986 segnalava alla Procura di Avellino lo smaltimento illecito di rifiuti tossici che avveniva all’Isochimica di Elio Graziano, l’imprenditore salernitano deceduto il quattro marzo del 2017 e dunque uscito dal processo incardinato sulla scorta dell’inchiesta condotta dall’ex Procuratore capo di Avellino, Rosario Cantelmo. Nel 2009 un’altra denuncia, da parte dell’attivista Giovanni Maraia sulla mancata bonifica del sito di Borgo Ferrovia e le malattie contratte dagli ex operai, fa partire l’inchiesta della Procura di Avellino che vedrà impegnati in continuità gli ex procuratori Angelo Di Popolo e il suo successore, Rosario Cantelmo, e che concluderà il percorso con la richiesta di rinvio a giudizio di 26 persone. Nelle loro consulenze, prestate a titolo gratuito, i periti della Procura hanno attestato che “tutti gli operai Isochimica sono in pericolo di vita” ma anche sottolineato che nessun lavoratore risultava sottoposto a diagnosi o visita da parte del medico di fabbrica.