IL PROFILO - La funzionaria cresciuta alla Farnesina e ora a capo del Dis è descritta come stachanovista eppure riservata, come impone il suo lavoro. Ed è stimata anche da chi si è seduto negli ultimi anni dalla parte opposta del tavolo. Silvia Stilli, portavoce dell'Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà: "E'uno dei diplomatici più attenti alle esigenze delle organizzazioni, disponibile a presenziare a una riunione anche a Ferragosto e con un'attenzione particolare alla società civile"
Poteva trattarsi di gestire la liberazione di ostaggi italiani, di aprire un tavolo di crisi sui dossier più caldi, soprattutto quelli mediorientali, o di schierarsi in favore di una battaglia che riteneva giusta, a volte anche andando oltre la sua posizione di funzionario dello Stato. Ma se si ascoltano i racconti dei rappresentanti della società civile, delle organizzazioni non governative, di chi si è seduto dalla parte opposta del tavolo rispetto a lei, si ottiene sempre la stessa risposta: “Elisabetta Belloni è uno dei diplomatici più attenti alle esigenze delle organizzazioni, disponibile a presenziare a una riunione anche il 15 di agosto. Anche nelle diversità di opinione, il confronto è sempre stato caratterizzato da stima reciproca e rispetto dei ruoli“.
Non lo dicono i colleghi, non lo dicono i suoi “padrini” professionali e nemmeno i politici che l’hanno voluta accanto a sé. Sono le parole di chi, spesso, con l’attuale direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, con alle spalle 35 anni di carriera diplomatica, ha dovuto contrattare, anche scontrarsi. Oggi che il suo nome è tra i papabili per raccogliere l’eredità di Sergio Mattarella al Quirinale, chi ormai la conosce da anni la descrive come un carattere forte ma dialogante, sempre pronta a intavolare discussioni e trattative, una Stachanov della diplomazia che sembra avere una missione che va oltre l’incarico che ricopre.
Nata a Roma 63 anni fa, sposata con Giorgio Giacomelli, ambasciatore di 28 anni più anziano di lei e scomparso nel 2017, Belloni ha iniziato la carriera diplomatica prestissimo, nel 1985, a soli 27 anni. Prima le esperienze a Vienna e Bratislava, poi il ritorno definitivo alla Farnesina, dove è rimasta fino a 8 mesi fa, quando Mario Draghi le ha offerto la guida dei servizi: la prima donna nella storia della Repubblica. Come prima donna è stata anche quando le è stato affidato il ruolo di segretario generale del ministero degli Esteri, l’incarico diplomatico più importante dopo quello di ministro, arrivato dopo aver guidato prima l’Unità di Crisi della Farnesina e, poi, la direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo.
Donna riservata, raccontano, come deve esserlo chi nel suo lavoro rompe dei tabù. Amante della natura, del jogging e degli animali. Tutte passioni che, però, passano in secondo piano quando la situazione richiede un suo intervento. “Ho avuto il piacere di collaborare con lei fin da quando guidava l’Unità di Crisi – racconta a Ilfattoquotidiano.it Silvia Stilli, portavoce dell’Associazione delle Organizzazioni Italiane di Cooperazione e Solidarietà Internazionale (Aoi) – e successivamente quando è stata direttrice generale per la Cooperazione allo sviluppo e anche da segretario generale della Farnesina. Qualsiasi fosse il suo ruolo, si è sempre battuta per un dialogo più strutturato tra le istituzioni, che rappresentava, e noi della società civile. Ricordo che riuniva numerosi tavoli tematici sulle principali emergenze, dalla Palestina, al Libano, fino ovviamente all’Afghanistan. Sempre coinvolgendo non solo gli attori istituzionali, ma anche noi e le realtà sindacali. Ecco, la prima cosa che mi viene in mente parlando di lei è questo interesse e predisposizione ai rapporti con la società civile”.
Un approccio che, continua Stilli, non si è annacquato anche dopo la sua nomina a segretario generale della Farnesina: “Ci ha difeso quando ci sono stati attacchi all’8×1000 per la lotta alla povertà nel mondo e si è schierata con noi sulla battaglia affinché i fondi del Decreto Missioni dovessero aiutare le iniziative della società civile nel mondo. Un approccio non solo italiano, quindi, ma internazionale. Non è una cosa scontata per un funzionario dello Stato che ha anche grandi capacità di dialogo e attenzione ai processi di pace e al protagonismo della società civile. E voglio ricordare anche un altro episodio, quello del suo discorso alla commemorazione per la morte di Paolo Dieci (ex presidente del Cisp e della rete Link2007 scomparso nel marzo del 2019, ndr). Fu un intervento molto bello, per niente di circostanza”.
C’è una ‘crisi’ in particolare che, però, ha attirato contro di lei critiche da parte proprio della società civile: quella relativa al sequestro, alle torture e all’uccisione di Giulio Regeni in Egitto. Non tanto per il suo operato, ma per le dichiarazioni fatte di fronte alla commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Erasmo Palazzotto. In quell’occasione, quando le venne chiesto se l’Egitto poteva essere considerato un Paese sicuro, rispose: “Dipende. Io vado in Egitto come funzionario, diverso è se si vanno a fare certe attività di ricerca ‘invasive’ rispetto a un ordinamento diverso dal nostro”. Se l’Egitto è sicuro o no dipende da “chi si reca in Egitto e che tipo di attività intende svolgere”.
Cecilia Strada, figlia del fondatore di Emergency Gino e oggi capo della comunicazione di Resq, l’ha conosciuta proprio in occasione di crisi che coinvolgevano cittadini italiani all’estero. Quando ancora non era presidente dell’organizzazione, ha vissuto il rapimento in Afghanistan del fotoreporter Gabriele Torsello, nel 2016, e del giornalista Daniele Mastrogiacomo, nel 2017. Mentre Emergency metteva a disposizione i suoi canali per stabilire contatti coi sequestratori, a gestire la situazione a capo dell’Unità di Crisi c’era proprio Belloni. “In quell’occasione ricordo la concentrazione del diplomatico che vuol riportare a casa i prigionieri – dice Strada a Ilfattoquotidiano.it -, ma che è anche attento alla salvaguardia dell’incolumità delle ong coinvolte, in quel caso Emergency“. Ma il rapporto con la ong fondata dal medico milanese non si limita alle situazioni di crisi: “Di lei ho sempre avuto l’idea che fosse una funzionaria che ascolta molto – continua Cecilia Strada – Ho sempre trovato disponibilità al dialogo, aveva quell’interesse a fare bene le cose che faceva superare ogni divergenza che potevamo avere, come è normale che sia. In molte situazioni di crisi, non era raro sentirsi abbandonati dai governi e dai suoi rappresentanti. Ecco, posso dire che con lei non è mai successo, sia durante i rapimenti che in altre situazioni di estrema difficoltà. Devo essere onesta, diplomatici come lei ed Ettore Sequi mi hanno fatta sempre sentire al sicuro”.