L’Alternanza scuola-lavoro (o PCTO) introdotta nel 2015 dalla famosa Buona Scuola di Renzi – buona solo di nome – negli ultimi giorni è prepotentemente tornata al centro del dibattito. A rinfocolare la polemica la vicenda straziante di Lorenzo Parelli, studente morto a Udine schiacciato da un gigantesco tubo di 150 chili. Era in azienda, nella carpenteria di laminazione della Burimec, per il suo ultimo giorno di stage. Un’esperienza che sembrava apprezzare almeno a quel che si dice all’Istituto salesiano Bearzi, dove frequentava il quarto anno di un corso di formazione professionale. Lorenzo era appena maggiorenne.

La storia è raccapricciante. Perché raccapricciante è pensare di poter morire a diciotto anni colpiti in testa da una trave d’acciaio. Raccapricciante è pensare di poter morire così, nel 2022, in Italia. Eppure di lavoro si muore e si continua a morire. Le morti bianche nel 2021? 1404, tre al giorno. Numeri che fanno paura. Ora è toccato a Lorenzo ma non dimentichiamoci Luana D’Orazio, la giovanissima operaia morta il 3 maggio scorso nell’azienda tessile dove lavorava, lasciando un figlio di cinque anni. Per quella tragedia oggi sono a processo tre persone con l’accusa di aver rimosso le cautele anti-infortunistiche.

E allora viene da chiedersi se sia davvero la discussa Alternanza scuola-lavoro il problema, o piuttosto i protocolli, la sorveglianza, la sicurezza. Con una politica che immancabilmente si sveglia dal suo sonno profondo solo per il cordoglio.

Su Twitter, l’arena di scontro social per eccellenza, dopo i fatti di Udine si è letto di tutto. Dai paragoni con i peggiori crimini contro l’umanità alle richieste di cancellare “senza se e senza ma” Alternanza, PCTO, annessi e connessi. Eppure la ‘Co-operative education’, come si dice all’inglese, rappresenta un modello tutt’altro che fallimentare fuori dai confini italiani (vedi Canada, Germania, Australia). Se ne fa una questione ideologica, a ragion veduta dopo due anni di pandemia e didattica a singhiozzi: il posto degli studenti oggi più di ieri dovrebbe essere tra i banchi. Vero. Ma tentare di accorciare le distanze tra scuola e lavoro è sacrosanto, soprattutto se diploma in mano il lavoro non c’è e la confusione regna sovrana. In quella fase – fidatevi di chi l’ha appena attraversata – quando si è chiamati a scegliere e prendere in mano la vita, qualche esperienza pratica in più da portare nel proprio bagaglio non guasta.

Di casi virtuosi tra le storie di Alternanza ce ne sono, non molti ma ci sono. E se negli istituti tecnici forme di tirocinio erano già prassi, ai licei mancava qualcosa che li aprisse al mondo. C’è da lavorare sulla qualità dei progetti perché siano meglio strutturati e più coerenti con il percorso di studi, andare incontro alle attitudini e agli interessi dei singoli studenti, trasformare l’obbligo in scelta, introdurre la retribuzione, ma da qui a fare tabula rasa ce ne vuole. Piuttosto, se proprio dobbiamo alzare la voce che sia per la sicurezza sul lavoro, non più miraggio ma certezza e diritto. Per tutte le Luana e i Lorenzo là fuori.

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