Politica

Quirinale, votare a maggioranza assoluta non significa sdoganare un celodurismo elettorale

Forse il più bel libro sul Presidente della Repubblica, e sulla sua complessa elezione, è un volume ormai introvabile del 1985, Gli uomini del Quirinale, autori Baldassare e Mezzanotte. Purtroppo si ferma all’elezione di Cossiga, ma resta sempre di un’attualità illuminante. Come quando spiega con lucidità che “nel complessivo meccanismo di elezione si condensa tutta l’ambiguità della figura presidenziale, mezzo nazione e mezzo maggioranza“. Mezzo nazione, chiamato ad una integrazione politica tra tutte le forze nazionali, e allora proviamo ad eleggerlo con i voti (quasi) di tutti, a maggioranza qualificata (almeno) di due terzi. O almeno mezzo maggioranza, con funzione di aggregazione e stabilizzazione della maggioranza di governo, e allora lo approviamo con la metà più uno dei membri dell’assemblea.

Ora, lo sappiamo, siamo a questo secondo giro: fallita l’unità nazionale, che almeno stia in piedi l’unità maggioritaria. Che peraltro, in questa situazione inedita, non coincide con la maggioranza di governo – che raccoglie un’area politica di per sé ben superiore alla metà più uno del Parlamento in seduta comune (e forse anche più dei due terzi, in realtà) – ma con qualsiasi altra maggioranza assoluta riesca ad aggregarsi, Ursula, patriota, o chi lo sa.

Una cosa però dev’esser chiara. Ed è che lo spirito della Costituzione non è certo quello di sdoganare, fallito il triplice tentativo di aggregare una maggioranza di due terzi, una sorta di celodurismo elettorale per cui si impone il più forte. Il fatto che, dal quarto scrutinio, si viri verso la semplice maggioranza dei metà più uno – che poi, lo stiamo vedendo, tanto semplice non è – non significa mica mandare a monte ogni tentativo di ottenere una più ampia condivisione. Anzi, l’abbassamento del quorum può diventare il meccanismo che allenta la tensione del sistema, e così agevola comunque la formazione di un consenso più ampio su un candidato presidenziale.

Del resto, se uno guarda i risultati delle scorse edizioni, scoprirà che moltissimi dei Presidenti usciti fuori dal quarto scrutinio in avanti – quando sarebbero bastati poco più di 500 voti, insomma – in realtà son stati eletti con numeri molto più alti. Pertini, eletto al 16esimo scrutinio, eletto con più dell’83% dei voti; Scalfaro, pure al 16esimo giro, con il 67%; e così via.

Che la scelta di abbassare il quorum non significasse una rinuncia ad una condivisione quanto più ampia possibile è d’altra parte significato anche da un dettaglio dei lavori costituenti, che vale la pena ricordare. Nel dibattito in Assemblea sul progetto di Costituzione, Tosato – non uno qualsiasi, ma uno il cui contributo fu decisivo nella definizione della forma di governo – aveva proposto che, non raggiunta la maggioranza qualificata nei primi tre scrutini, la scelta fosse rimessa al corpo elettorale, con l’elezione del Presidente a suffragio universale e diretto. La proposta non raccolse grande consenso; anzi, ne presero le distanze gli stessi compagni del gruppo politico del proponente, con Moro che intervenne a precisare che “l’emendamento è stato presentato a titolo personale”; e l’iniziativa fallì, con una bocciatura a larga maggioranza.

Se quella proposta fallì fu perché l’Assemblea Costituente escludeva l’eventualità che Tosato aveva paventato, quella cioè che “un Presidente eletto, dopo ripetuti scrutini, soltanto a maggioranza assoluta, e quindi esponente di una maggioranza che può essere anche effimera e contingente, non presenti quei presupposti che sono assolutamente indispensabili per poter svolgere la sua funzione”. Escludeva, insomma, il celodurismo di cui si parlava prima, presumendo che, anche con l’allentamento del quorum – o forse proprio a motivo di questo allentamento – le forze politiche avrebbero comunque lavorato per trovare un consenso quanto più ampio possibile, evitando la corsa a piazzare l’uomo di parte.

Qualcuno, a certi grandi elettori, dovrebbe segnalarlo: che l’asticella che si abbassa non è come vincere un braccio di ferro. Piuttosto, è assumersi una responsabilità maggiore davanti al Paese, perché ora trovare un nome che sia mezzo nazione e mezzo maggioranza non è questione di numeri da raggiunger per forza, ma solo di loro volontà. E su questo saranno giudicati.