Gli esuberi annunciati in questi giorni sono solo l’antipasto. Solo in parte riconducibili direttamente dell’addio ai motori diesel in favore dell’elettrico. Per lo più sono il portato della nuova strategia del gruppo Stellantis: internalizzare le produzioni che prima erano affidate a fornitori esterni. Ottenendo l’effetto di scaricare gli esuberi al di furi del gruppo. Lo spiega a Ilfattoquotidiano.it Giorgio Airaudo, segretario della Fiom Piemonte, da sempre impegnato nel settore delle quattro ruote. Un mondo che ieri è stato scosso da un doppio annuncio di esuberi. La Bosch ha affermato che l’organico del suo stabilimento di Bari (dove l’85% delle produzioni è legato alle motorizzazioni a gasolio) verrà ridotto di 700 unità. Marelli ha presentato ai sindacati un piano con 550 uscite tra impiegati e quadri delle sue attività italiane. “Ma le stesse ragioni sono alla base anche delle chiusure della Gkn di Campi Bisenzio e della Giannetti ruote, in Brianza. Sono tante le aziende che stanno lottando per difendere gli ordini, di crisi ne arriveranno altre” spiega Airaudo. “Non c’è altro tempo da perdere, è il momento di affrontare le criticità di un settore tradizionalmente molto forte in Italia, che rischia di essere spezzato via da una trasformazione che al momento non è governata”, ha detto oggi il segretario generale Fim Cisl Roberto Benaglia.
“In pochi giorni gli annunci di alcune aziende hanno confermato le nostre preoccupazioni più volte manifestate al governo. Rischiamo l’avvio di un ‘effetto dominò che potrebbe far perdere al nostro Paese un intero settore industriale se non ci saranno interventi straordinari e urgenti con obiettivi chiari. Per salvaguardare industria e occupazione è necessario avere l’obiettivo di utilizzare la capacità produttiva: 1,5 milioni di auto di nuova generazione”, hanno affermato oggi Francesca Re David, segretaria generale Fiom Cgil e Michele De Palma segretario nazionale Fiom e responsabile automotive
Il governo per ora è rimasto a guardare. A differenza di Francia e Germania non esiste un piano generale sulla gestione della transizione nel mondo dell’auto, né da un punto di vista economico, né sociale. Secondo quanto riferisce Airaudo, il ministero dello Sviluppo Economico (Mise) guidato da Giancarlo Giorgetti non avrebbe neppure avviato i lavori preliminari per provare a metterlo a punto. Manca ancora, ad esempio, un censimento della filiera dell’elettrico. “Ci si limita a convocare tavoli e a inseguire Stellantis sui singoli episodi senza chiedere al gruppo a guida francese un piano generale sulle sue attività in Italia”, nota il sindacalista della Fiom. Sulla vicenda Bosch, il Mise ha diffuso oggi una laconica nota in cui afferma che “La situazione è monitorata in maniera costante. La struttura per le crisi d’impresa del ministero è stata già allertata e convocherà il tavolo in tempi brevi”.
Il presidente di Confindustria Puglia Sergio Fontana ha, a sua volta, rimarcato l’assenza di una strategia nazionale. “La transizione verso l’auto elettrica ha avuto un’accelerazione troppo repentina, che sta schiacciando tutta l’industria automobilistica. Questo non significa che dobbiamo arrenderci alla storia – ha detto Fontana – ma dobbiamo attrezzarci per cavalcare il cambiamento”. Fontana ha quindi difeso la Bosch che “Sta facendo la sua parte. In soli 4 anni ha messo a punto ben 7 nuovi prodotti ed è pronta a intraprendere una coraggiosa riconversione. Per sostenere questa sfida, però, la Bosch deve poter contare su politiche industriali adeguate“. Nonostante la pandemia il gruppo Bosch ha chiuso il 2020 con profitti per 749 milioni di euro. Nel 2019 l’utile aveva superato i 2 miliardi di euro. Non è chiarissimo perché la sua conversione debba essere finanziata anche dai contribuenti italiani ma tant’è.
In Italia il 50-60% dei fornitori lavora per Stellantis. Il gruppo ha da poco compiuto un anno ed è nato dall’unione tra Fca e la francese Psa. La famiglia Agnelli/Elkann è il primo azionista con il 14%, ma la maggioranza fa capo a soci esteri. Lo Stato francese ha inoltre una quota del 6% e l’amministratore delegato Carlos Tavares è espressione di Psa. Il gruppo ha annunciato ieri di aver restituito anzitempo il prestito da 6,3 miliardi di euro erogato da Intesa Sanpaolo ma garantito dallo Stato italiano (tramite Sace). Garanzia che ha permesso, prima a Fca e poi a Stellantis, di finanziarsi a tassi particolarmente vantaggiosi. La garanzia era però accompagnata da un vincolo, piuttosto generico, a non licenziare. Come sottolinea Airaudo licenziamenti veri e propri non ce ne sono stati ma, con l’accordo dei sindacati, il gruppo è comunque riuscito a ridimensionare di 2mila persone la sua forza lavoro in Italia e a chiudere lo storico stabilimento di Grugliasco. Sta di fatto che con il rimborso del prestito ora questa leva negoziale viene meno. Stellanstis ha mano libera, nel licenziare o nell’appoggiarsi alla cassa integrazione come ha sempre fatto Fca. “La Germania ha varato un piano di incentivi focalizzato sui modelli prodotti nel paese. In Italia questo non accade e si rischia anzi di erogare aiuti per vetture che magari vengono costruite in Polonia o altrove”, ragiona Airaudo che aggiunge, “In questa situazione non mi stupirei di vedere la nuova Panda ‘migrare’ verso la Spagna”.