di Serena Verrecchia

Si credono intellettualmente superiori, i commentatori politici (chiamarli persino “giornalisti” scatenerebbe immediatamente eczemi e acute dermatiti sottocutanee), quando con quell’aria di altezzosità sdegnosa si rivolgono alla camera, fanno spallucce e annunciano il triste responso: ancora “scheda bianca”. Come se i politici (già abbastanza sconfortanti di loro), fossero simili a quei camerieri che dimenticano la comanda nel grembiule e ti lasciano seduto a tavola a bocca asciutta.

Sono dannosi, i commentatori politici, perché insinuano nella gente la convinzione che gli esercizi di democrazia siano tutta una grande perdita di tempo. Che esistano soluzioni facili, immediate, alla portata, che però, per qualche oscura e indicibile ragione, i politici non vogliono vedere, valutare, giudicare idonee. Forse perché non coincidono con le loro raziocinanti aspettative. E allora, già alla seconda votazione (alla prima, ricordiamolo, sono stati eletti solo due Presidenti nella storia), li vedi sghignazzare in studio e alzare le spalle, inculcando nell’uditorio in attesa i più grossolani, sgarbati e scontati commenti: “e te parevaaaa”.

Io li adoro questi personaggi qui, quelli che stanno nella zona grigia di tutte le storie. I media dettano ogni giorno l’agenda politica ma, a differenza dei politici, non devono dar conto a nessuno. Hanno infilato nella caciara generale la partita del Quirinale già da quest’estate, facendo nomi, vagliando ipotesi, azzardando previsioni. A ogni politico che gli capita a tiro, gli chiedono di quel candidato, di quella “carta nascosta”, di quel nome che quelli – vigliacchi – si rifiutano di fare prima davanti ai microfoni che davanti ai loro interlocutori. Poi si burlano del “conclave a pane e acqua”, delle “rose dei partiti”, dei vertici notturni, come se a forze politiche completamente antitetiche (e grazie a Dio) un accordo potesse semplicemente piovere in mano dal cielo, già bello incravattato e pronto all’uso.

La scheda bianca ai commentatori non piace perché non offre carne da macello per le loro maratone. È vero: così l’azione di governo ha una battuta d’arresto (funziona così dagli anni Quaranta), ma quando l’anno scorso Matteo Renzi teneva in ostaggio la maggioranza per le sue fisime personali, loro erano tutti eccitati all’idea di poterlo ospitare in ogni salotto, su ogni giornale, in tutte le trasmissioni. I celerini della democrazia, che allora avrebbero potuto smascherare le menzogne di Renzi e dei distruttori al due per cento in un attimo, si videro bene dal farlo. Ma quella di oggi è tutta un’altra storia.

Adesso, dopo aver decretato per mesi la “morte della politica” e smascherato in ogni dove la sua acclarata inutilità, scherniscono i politici perché, una volta tanto, fanno i politici. Discutono, trattano, si incontrano, scartano dei nomi, ne propongono altri. Funziona così la democrazia parlamentare. Una scheda bianca non è uno sputo in faccia al paese che soffre, semmai gli sputi sono altri (ma lì, guai a parlarne). Una scheda bianca è un tentativo di mediazione, lo sforzo di voler provare a dare una soluzione accettabile all’Italia. Poi c’è chi lo fa per strategia, chi per dare una prova di forza, chi nell’interesse vero del paese. Ma ai commentatori le sottigliezze non interessano, per loro (e probabilmente solo per loro) la soluzione si chiamava e si chiama Mario Draghi.
Tutto il resto è rumore bianco. Anzi, scheda bianca.

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