Paura sì, e tanta. Panico no, non ancora. Gli italiani residenti in Ucraina seguono naturalmente con estrema preoccupazione l’escalation della crisi ma per adesso rimangono lì, in attesa di capire l’evolversi della situazione. “Vivo a Kharkiv, nell’est del Paese, da 15 anni”, racconta Marco Cirulli, interprete romano e fino a prima della pandemia consulente per varie start up. “Continuiamo a fare le cose di tutti i giorni, ma con un occhio costante su internet e alle breaking news. Per ora l’atmosfera è calma ma non abbiamo idea di come sarà il domani. Io penso che nemmeno Putin abbia chiaro nella sua testa l’obiettivo da raggiungere ma di certo non rinuncerà a fare l’interesse suo e della Russia qui in Ucraina”.
Kharkiv dista pochi chilometri dalla frontiera ma secondo Cirulli non avrebbe molto senso spostarsi dalla città in caso di attacco “perché l’avanzata potrebbe avvenire in simultanea dalla Bielorussia a nord, dalla Crimea a sud e anche dalla Transnistria, la regione filorussa all’interno della Moldova, sul fronte occidentale. Siamo circondati, purtroppo, e se davvero ci sarà un’invasione su larga scala tutto il Paese si ritroverebbe occupato. La supremazia aerea di Mosca è consistente ed un bombardamento preventivo dall’alto, per spianare la strada ad un’incursione terrestre, sarebbe difficilmente contrastabile”.
Cerca invece di estraniarsi il più possibile dall’attualità la piemontese Simona Mercantini, che insegna italiano all’università Karazin di Kharkiv, la più importante della città con decine di migliaia di studenti provenienti soprattutto dall’Africa, dal Medio Oriente e dal subcontinente indiano. “Leggo il meno possibile le notizie: la dialettica dell’informazione da due anni a questa parte è puro allarmismo e questo naturalmente genera ansia e inquietudine. Personalmente continuo a lavorare come prima, ci prepariamo al nuovo semestre e con gli studenti e i colleghi evitiamo l’argomento guerra. Rimango naturalmente in contatto costante con l’ambasciata, che ci segue da vicino e ci aggiorna regolarmente. Non so se i miei concittadini di Kharkiv stiano facendo le scorte di cibo o preparando le valigie, ma qui in ateneo si va avanti e si pensa ad altro…”.
C’è poi chi, da analista finanziario, si concentra sulla situazione economica: “A causa della crisi – sostiene Peter Regent, triestino che fa la spola fra la Svizzera, Vienna e Kiev come consulente di una delle più importanti assicurazioni del Paese – l’Ucraina sarà costretta ad indebitarsi in maniera abnorme e le conseguenze le pagherà per i prossimi cent’anni con le proprie risorse”. Un film peraltro già visto, considerando che prima del 2014, quando Putin ha annesso la Crimea ed è iniziata la guerra in Donbass, per comprare un euro servivano 10 grivnie ed oggi il cambio è a 32. E nell’ultimo mese, mentre i prezzi dei beni di prima necessità continuano a crescere, la moneta ucraina si è deprezzata di un ulteriore 5% rispetto al dollaro ed i tassi di prestito sono più che raddoppiati.
In Ucraina ci ha lavorato a lungo come consigliera della missione Osce anche Eugenia Benigni: “Non mi azzardo in previsioni – sostiene l’analista di Udine – ma direi che ci sono tre opzioni. La prima è quella di usare la leva della guerra come arma di negoziazione per ottenere qualche concessione dall’Occidente. La seconda, che è forse la più realistica, è un’invasione limitata, forse usando e foraggiando i combattenti russi già presenti in Donbass. La terza, che è la più pericolosa, è naturalmente quella di un conflitto totale, ma mi auguro che sia la meno plausibile”. Anche perché minerebbe l’intera stabilità internazionale e sprofonderebbe l’Europa nel caos.