La morte di Lorenzo Parelli, lo studente di 18 anni colpito da una trave d’acciaio nel suo ultimo giorno di stage in un’azienda in provincia di Udine, ha rilanciato il dibattito su quella che tutti chiamano “alternanza scuola-lavoro”. E spaccato il mondo della scuola tra chi invita a non strumentalizzare la vicenda, come i presidi, e chi chiede di eliminare l’obbligatorietà dell’esperienza lavorativa (Flc Cgil) o addirittura di abolire i percorsi scuola-lavoro già nell’anno in corso (Cobas). Nel mezzo ci stanno gli studenti, che intanto scendono in piazza, come nei giorni scorsi a Roma, Napoli, Milano, Torino e Padova, per chiedere più tutele e nessuno sfruttamento. Una posizione espressa anche dalla Cisl Scuola. Molte voci, insomma, che però un punto in comune ce l’hanno: il sistema che coinvolge il mondo della scuola e del lavoro va migliorato a partire da un’analisi dei dati a disposizione, da un albo di aziende certificate in quanto adatte a ospitare gli studenti e da un incentivo ai tutor aziendali e scolastici.
Ma prima ancora delle soluzioni da adottare, va fatta chiarezza sui percorsi e sui numeri. L’alternanza scuola-lavoro nata nel 2015 con la “Buona scuola” di Matteo Renzi oggi si chiama Pcto, ovvero “Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento”. Un cambio di nome voluto dall’allora ministro leghista Marco Bussetti che non ha cambiato di molto la sostanza. Accanto ai Pcto c’è poi il cosiddetto sistema duale, un modello di formazione professionale alternata fra scuola e lavoro che vede le istituzioni formative e i datori di lavoro fianco a fianco nel processo formativo. A scegliere sono i ragazzi al termine della scuola secondaria di primo grado. Si può scegliere di proseguire gli studi nella secondaria di secondo grado articolata in licei, istituti tecnici e istituti professionali, o nella filiera della formazione professionale, a partire dagli Istituti di istruzione e formazione professionale (IeFP), di competenza regionale, che rilasciano una qualifica triennale o un diploma quadriennale. In questo caso, gli allievi svolgono degli stage lavorativi che in alcuni casi diventano dei veri e propri contratti di lavoro a tempo indeterminato (apprendistato di primo livello), che sono retribuiti a seconda della tipologia di percorso.
Quanto ai numeri, i dati da citare sono quelli del ministero dell’Istruzione e delle Regioni. Per quanto riguarda la vecchia definizione di alternanza scuola-lavoro, i ragazzi in Pcto (quelli dell’ultimo triennio) sono un milione e 514mila. Le ore frequentate nel triennio, come prevede la normativa, sono almeno 180 negli istituti professionali (erano 400 prima della riforma Bussetti), almeno 150 nei tecnici (dalle precedenti 400) e almeno 90 nei licei (dalle precedenti 200). Proprio nell’anno scolastico 2018-2019, quando i percorsi di alternanza hanno cambiato nome, l’89% dei ragazzi di quinta ha frequentato un Pcto, mentre l’anno seguente si è scesi al 64,2% a causa della pandemia e alla conseguente sospensione dei percorsi, che lo scorso anno sono stati frequentati dall’85,6% degli studenti di quinta. Di questi, oltre il 40 per cento ha seguito il percorso in collaborazione con imprese, per fortuna senza vittime né feriti. Tanto che c’è chi non ha dubbi sull’efficacia del progetto e di fronte a polemiche e proteste parla di “critiche pretestuose e pregiudizio ideologico nei confronti del lavoro”, come il numero uno dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli. “Se fai certi studi non puoi fare a meno di andare in industria, in un laboratorio. Studiare, in questi casi, è vedere come si fa quel lavoro”, argomenta Giannelli, che pensa a Giotto che andava a bottega del Cimabue. E aggiunge: “Certo, c’è da migliorare, ma non demoliamo tutto. Va creata una banca dati con la recensione di tutte le aziende in modo da mappare quelle adatte e sicure ad accogliere gli studenti. Oggi uno dei problemi maggiori è piuttosto che le scuole devono pregare le ditte per trovare posto per i ragazzi”. Un’idea, questa del presidente dell’Anp, che va a braccetto con quella di Lena Gissi, segretaria nazionale Cisl Scuola: “Il sistema duale è una grande opportunità. Ho visto studenti impegnati nelle mie strutture che hanno avuto modo di fare esperienze significative per la loro formazione”. Anche la segretaria Cisl, tuttavia, propone qualche modifica: “Vanno incentivati i tutor e poi bisognerebbe pensare almeno ad un rimborso spese qualora i ragazzi debbano prendere mezzi pubblici per raggiungere i luoghi di lavoro”.
Ma c’è anche chi la pensa diversamente, vedendo in queste esperienze un modo di fornire al sistema produttivo manodopera gratuita o a bassissimo costo, spesso senza prospettive. “L’evoluzione in Pcto non ha portato miglioramenti sostanziali sulla gestione di questi progetti, che rimane assolutamente precaria e spesso li trasforma in ore di sfruttamento”, sostiene Irene Bresciani, coordinatrice della Rete degli studenti medi di Padova. “Allo stesso modo – prosegue la ragazza – funzionano gli stage esterni, percorsi di formazione obbligatori per raggiungere un monte ore che possa far accedere lo studente all’esame di Stato. Questi stage spacciati per formativi e i Pcto non sono scuola, non sono lavoro, ma sono sfruttamento gratuito. Vogliamo indurre le istituzioni e l’opinione pubblica ad una seria riflessione politica sui percorsi scuola-lavoro”. Critica anche Serena Turnone, diciottenne di Martina Franca iscritta al liceo scientifico Tito Livio: “Come classe abbiamo fatto un progetto particolare: il restauro di un quadro ritrovato in un convento nella nostra città. L’ho trovato inutile. Adoro l’arte, ma mi sono resa conto che non mi è servito a nulla dal punto di vista lavorativo. Mi sembrerebbe più giusto formare i ragazzi sulle tutele, su come si legge un contratto o una busta paga: cose a noi sconosciute”. Ed è negativo anche Gianluca Saurgnani, liceale di 18 anni di Izano (provincia di Cremona): “Al liceo fanno fare conferenze con aziende e università, tendenzialmente non mandano in azienda. Per chi fa una scuola come la nostra è una palla al piede. Per chi fa un tecnico, può essere utile”.
Ma anche il mondo studentesco è diviso. E non mancano i pareri opposti. Chiara Ferrari, 18 anni, alla quinta Itis a Crema, l’estate scorsa ha svolto quaranta ore in una farmacia. “Ho capito come si lavora, non pensavo fosse così stancante. Seguivo il loro orario: sistemavo i farmaci, guardavo le scadenze, ho appreso la logica del marketing”, racconta. E una richiesta la fa anche lei: “Certo, se ci dessero qualche soldo non sarebbe male. Alla nostra età serve a renderci un po’ più indipendenti. Io per esempio, ho iniziato a fare la cameriera in un ristorante”. D’accordo con lei il coetaneo Lorenzo Locati, rappresentante d’istituto del liceo classico Ostellini di Udine: “In collaborazione con l’università ho fatto un lavoro di digitalizzazione di testi del Settecento. È un’esperienza molto utile in sé, perché parte da presupposti ottimi: l’approccio dello studente al mondo del lavoro che è una realtà totalmente diversa dalla scuola. Il problema secondo me è che non c’è una vera e propria cultura di questi progetti”.
Come anticipato, c’è poi la partita del sistema duale, che riguarda gli IeFP delle Regioni. Ilfattoquotidiano.it ha raccolto i dati di Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Lazio, Campania e Sicilia. Ad oggi nessuna vittima tra gli studenti che hanno attivato uno stage, in nessuna di queste regioni. Non mancano invece i feriti, ma per fortuna si contano sulle dita delle mani: nell’anno scolastico 2020-2021 sono stati cinque su 3500 stage attivati in Veneto e due nella provincia autonoma di Bolzano, sul totale dei 976 allievi in stage. Nondimeno, qualche altro caso è stato riportato dalle cronache. Il 4 febbraio 2020 a Genola (Cuneo) un 17enne è finito in terapia intensiva dopo essere stato travolto da una cancellata in ferro, e il 13 giugno 2018 a un coetaneo è stata amputata una falange a causa di un incidente mentre lavorava in un’officina meccanica vicino a Prato. Mentre il 7 ottobre 2017, a La Spezia, uno studente è rimasto schiacciato da un muletto e si è rotto la tibia. Infine, il 21 dicembre 2017 a Faenza, il braccio meccanico di una gru ha ceduto e un 18enne si è fratturato le gambe. Impiegati negli stage o negli apprendistati, per la maggior parte i ragazzi trovano posto nelle attività dei servizi alla persona, nel turismo, nel commercio e nell’artigianato. In Valle d’Aosta, ad esempio, le aziende coinvolte appartengono ai settori del benessere, al primo posto, a quello turistico-ricettivo, alla piccola e grande distribuzione e infine alla meccanica e carrozzeria. In Piemonte, dov’è obbligatoria la formazione in sicurezza sia per gli stage che per l’apprendistato, prevalgono sempre le categorie del benessere, oltre ai lavori legati alla riparazione meccanica ed elettrica.
“Ritengo che il tirocinio sia uno strumento importante – dichiara a ilfattoquotidiano.it l’assessore all’Istruzione e al Lavoro del Piemonte Elena Chiorino – abbiamo sempre lavorato per mantenere standard qualitativi elevati e continueremo a farlo, certi che sia la direzione giusta da perseguire. Anche le imprese vanno supportate in tema di sicurezza, mettendo a loro disposizione strumenti formativi dedicati, senza riempirle soltanto di atti burocratici da evadere. Non ritengo che la soluzione sia quella di ridurre i tirocini perché andrebbe soltanto a discapito dei ragazzi”. In Lombardia, regione che vale da sola più del 50% del totale nazionale in termini di allievi coinvolti, nell’anno 2020-2021 26.259 ragazzi erano iscritti al sistema duale, di cui 1.555 apprendisti. Il 17,73% era impiegato nelle attività di servizi alla persona, il 17,45% nella ristorazione, il 10,96% nel commercio al dettaglio, il 9,12% in quello all’ingrosso, il 7,74% nei lavori di costruzione specializzati e il 7% nell’istruzione. In Sicilia, dal 2018 al 2022 sono stati attivati 1.793 contratti di apprendistato di primo livello (tra istituti superiori e IeFp), con oltre 300 aziende coinvolte (dalle 107 del 2018), prevalentemente appartenenti al settore della ristorazione e delle strutture ricettive. Inoltre, tra il 2018 e il 2020 sono stati trasformati 171 contratti a tempo indeterminato.
Ma è proprio su questi numeri che si levano le critiche di un’altra parte del mondo sindacale. Le più pesanti arrivano dai Cobas Scuola: “Negli istituti tecnici e professionali questa pratica ha messo a disposizione delle aziende centinaia di migliaia di giovanissimi che, con la scusa di imparare il mestiere, introiettano la concezione dominante per cui è una fortuna trovare un impiego anche se i diritti (salariali, contrattuali, di orario e organizzazione) devono essere sacrificati in nome di una produzione finalizzata ai profitti privati piuttosto che a soddisfare i bisogni sociali di tutta la cittadinanza”. Accuse pesanti, che non risparmiano le Regioni: “Il fatto che la formazione professionale regionale svolga una funzione del genere è scandaloso. Esattamente come noi, il movimento studentesco denuncia il Pcto come una mala pratica da abolire, per riportare nelle aule (da ampliare, ristrutturare e rendere accoglienti) studenti e studentesse: non si migliora la scuola allontanando dall’istruzione, ma rendendo migliore la scuola eliminando le classi-pollaio, aumentando gli organici e attrezzando laboratori e aule di strumenti adeguati e ammodernati”. Altrettanto duro Francesco Sinopoli, segretario nazionale Flc Cgil: “Siamo da sempre per l’abolizione dell’obbligatorietà dell’alternanza scuola lavoro. In Italia non ci sono così tante realtà da poter rendere efficace questa esperienza. In questi giorni nessuno ha strumentalizzato la morte di Lorenzo, ma finalmente si è riaperta una riflessione. Quel ragazzo non era in Pcto ma in uno stage, ma poco cambia. La domanda da fare è: cosa ci faceva sotto quella trave? Non vogliamo buttare via il bambino con l’acqua sporca, ma serve un albo delle aziende dove poter fare stage e Pcto. Non abbiamo bisogno di adeguare le scuole alla domanda del sistema produttivo”.