Lo scontro è deflagrato pochi minuti dopo la rielezione di Sergio Mattarella: l’ex capo politico ha messo sotto accusa quello attuale sulla gestione le trattative nella corsa al Quirinale. Giuseppe Conte si prende la notte per replicare e il giorno dopo spiega che le “trattative” sono state decise anche da Luigi Di Maio: “Era nella cabina di regia M5s, anche lui chiarirà”. E “non a me, ma agli iscritti”. Un botta e risposta che rappresenta l’inizio dell’attesa resa dei conti tutta interna al Movimento 5 stelle. Un redde rationem che si è allargato ai gruppi parlamentari e ai componenti del governo, divisi tra fedelissimi del ministro degli Esteri e sostenitori dell’ex presidente del consiglio.

Confronti, chiarimenti e iscritti- Tutte le dichiarazioni combaciano solo su un punto: un “chiarimento” si fa sempre più necessario e urgente. D’altra parte già prima della rielezione di Mattarella Conte lo aveva evocato in conferenza stampa rispondendo al Fatto quotidiano. E aveva già sottolineato che il confronto avrebbe coinvolto gli iscritti dei 5 stelle. Gi stessi ai quali potrebbe spettare anche un’altra decisione: la deroga alla regola del secondo mandato che tutti chiedono da tempo. E che più di qualcuno teme. Sullo sfondo di questo scontro tra vecchia guardia e nuova gestione dei 5 stelle, infatti, inizia a proiettarsi un problema antico e mai finora risolto. Ma che diventa delicatissimo in vista delle prossime elezioni politiche, quando molti dei 230 eletti sotto il simbolo del Movimento non faranno ritorno in Parlamento. Non solo per una questione di secondo mandato, ma soprattutto perché il Movimento ha dimezzato i consensi rispetto al 2018. E soprattutto perché alla prossima legislatura spariranno 345 seggi per effetto della riforma sul taglio dei parlamentari. Per preparare le liste delle prossime politiche, dunque, prendere una decisione sui due mandati è fondamentale.

Chi è al secondo mandato – Quasi il trenta percento dei parlamentari – 67 su 230 – che ancora oggi siedono tra i banchi dei 5 stelle sono infatti al secondo mandato- secondo le regole originarie del Movimento – non sarebbero ricandidabili. Sono soprattutto alla Camera dove su 157 eletti, quasi un terzo – e cioè 49 – rischia di avere davanti solo l’ultimo anno in Parlamento. Al Senato, invece, la percentuale è più ridotta: su 73 eletti in 18 sono al secondo mandato. Si tratta, ovviamente, dei volti più noti del Movimento: il presidente della Camera, Roberto Fico, il ministro Federico D’incà, il sottosegretario all’Interno Carlo Sibilia, il presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, Giuseppe Brescia, l’ex guardasigilli Alfonso Bonafede, l’ex ministra della Sanità nel governo gialloverde, Giulia Grillo, l’ex titolare delle Infrastrutture nello stesso esecutivo, Danilo Toninelli ma pure l’ex sottosegretario alla presidenza del consiglio Riccardo Fraccaro e Vito Crimi, capo politico ad interim dopo le dimissioni di Di Maio. Nella lista anche le ex presidenti della commissione giustizia Giulia Sarti e Francesca Businarolo o l’attuale presidente della commissione Affari sociali, Marialucia Lorefice. Nell’elenco ovviamente c’è Di Maio, ma pure molti dei suoi fedelissimi come il sottosegretario Manlio Di Stefano, la viceministra Laura Castelli, l’ex tesoriere dei 5 stelle Sergio Battelli. Sono al secondo mandato anche molti di quelli che hanno preso le difese del ministro degli Esteri nello scontro con Conte: da Mattia Fantinati a Dalila Nesci. Al contrario i cinque vicepresidenti scelti da Conte per farsi aiutare nella guida del Movimento sono quasi tutti in grado di ricandidarsi senza deroghe: l’unica al secondo mandato, infatti, è la senatrice Paola Taverna, mentre Riccardo Ricciardi, Mario Turco e Michele Gubitosa sono alla prima esperienza in Parlamento. La viceministra al Mise, Alessandra Todde, invece, ha davanti a sé addirittura due mandati avendo fallito l’elezione all’Europarlamento nel 2019.

Il mandato zero e il caso degli ex consiglieri regionali – Ci sono poi posizioni ibride. Come quella di Stefano Buffagni che è alla prima legislatura a Roma ma in precedenza è stato eletto in consiglio regionale. Anni che sulla carta prefigurano un secondo mandato, visto che quello in Regione non viene considerato all’interno del “mandato zero“: è una novità introdotta dai 5 stelle nel 2020, che consente di non contare una prima elezione nei consigli comunali nel computo totale dei due mandati. In quel modo era stato possibile ricandidare Virginia Raggi a sindaca di Roma. Poi, però, la questione dei due mandati non è stata più toccata. Nel marzo scorso era stato Beppe Grillo a blindare quella che è una delle norme-bandiera dei 5 stelle. “Il limite dei due mandati deve rimanere, l’ho detto a Conte. Io resterò sempre nel M5s se resta questo pilastro dei 2 mandati“, aveva detto il garante, scatenando non pochi malumori tra i parlamentari. Nei mesi successivi, quando Conte ha preso in mano il Movimento, si era ipotizzato inserire una sorta di “deroga per i meritevoli’. Ma chi dovrebbe decidere chi sono i meritevoli? Il capo politico? E su quali criteri? Quel compromesso, insomma, avrebbe creato ulteriori malumori. E che adesso si allunga sullo sfondo dello scontro tra la vecchia guardia del Movimento e la nuova guida politica. Probabilmente la via d’uscita più agevole sarebbe quella classica: far decidere agli iscritti.

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