Dopo due anni senza scritti i ragazzi dovranno fare di nuovo il classico tema e una seconda prova diversa per ciascun indirizzo, che avrà per oggetto una sola disciplina. Maddalena Gissi, Cisl Scuola: “Un ritorno alla normalità è negli auspici di tutti, ma siamo ancora ben lontani dal poter considerare conclusa l'emergenza. Non si può far finta che studentesse e studenti abbiano potuto seguire normalmente le lezioni"
Il ritorno a un esame di maturità in versione “normale” non piace. La scelta del ministro Bianchi di reintrodurre entrambi gli scritti sia nel primo ciclo che nel secondo non sta bene agli studenti, a molti professori, ai sindacati e nemmeno a tanti dirigenti, in primis il numero uno dell’Associazione nazionale presidi. Dopo due anni senza scritti i ragazzi dovranno fare di nuovo il classico tema e la seconda prova diversa per ciascun indirizzo, che avrà per oggetto una sola disciplina tra quelle caratterizzanti il percorso di studi. È quest’ultima la sola differenza rispetto agli anni pre covid quando le materie oggetto del secondo test erano più d’una.
Una decisione che trova la contrarietà del numero uno dell’Anp Antonello Giannelli: “E’ stato fatto un passo indietro rispetto alla spinta innovativa fornita dalla prova su due discipline. Di fatto, si perde quella interdisciplinarietà che rappresentava a nostro avviso un salto di qualità nella rilevazione delle competenze degli studenti, intesa anche quale prova di riflessione e di interiorizzazione degli apprendimenti”.
Un’osservazione che trova d’accordo la maggior parte dei dirigenti scolastici tra cui la capo d’istituto dell’Einaudi di Bassano del Grappa, Laura Biancato, che nei mesi scorsi aveva chiesto persino di abolire la prova di Stato: “E’ una struttura rigida e omologante che chiude – scriveva la dirigente in un post su Facebook – un percorso di tredici anni anni di istruzione basato su un diffuso concetto di individualizzazione e personalizzazione degli apprendimenti, oltre che sulla scelta, per gli ultimi cinque anni, di indirizzi di studio profondamente diversi tra loro. Il “tema” d’esame, che ipocritamente si può continuare a chiamare testo contando su una differenziazione davvero fittizia, è una forma non adatta a tutti, ma soprattutto fuori dal tempo, così come fuori dal tempo sono i percorsi di studio”. Interpellata da ilFattoQuotidiano.it la preside, dopo aver letto l’ordinanza del ministro risponde: “Bianchi ha perso un’occasione preziosa per riformare l’esame di Stato. Torniamo ad una prova basata solo sulle discipline con un orale “spezzatino” dove ogni docente fa la sua domanda e nulla di più. Passi il primo scritto ma il secondo con una sola disciplina è un grave errore. E non mi si dica del rito di passaggio….per me è ben altro; è condivisione; è comunità”.
Altra critica alla scelta del ministro: il ritorno ad una normalità che non esiste ancora. Per una volta studenti e presidi vanno a braccetto. “Va ricordato che gli studenti che affronteranno le prove di giugno sono quelli che maggiormente hanno sofferto l’emergenza: due anni e mezzo del loro percorso scolastico sono stati pesantemente inficiati dalla pandemia e di ciò non si può non tenere conto. In tale direzione può leggersi anche il fatto che sia le prove Invalsi che lo svolgimento del Pcto non rappresentino, contrariamente alla norma, un requisito di accesso”, dice Giannelli.
Parole ancora più dure da parte di Tommaso Biancuzzi, coordinatore nazionale della “Rete degli Studenti medi” che non le manda a dire al ministro: “Bianchi a settembre ci aveva promesso un tavolo con le rappresentanze studentesche per fare un percorso insieme in vista di questo esame. Non ci ha mai più interpellati e ora ci ritroviamo questo esame”. L’ennesima bugia – secondo Biancuzzi – dell’inquilino di viale Trastevere: “Non riusciamo proprio a comprendere come il ministro possa giustificare la reintroduzione della seconda prova quando per due anni non abbiamo fatto le consuete simulazioni. Si vuole dare una parvenza di normalità ma noi sentiamo puzza di disonestà intellettuale e ci sentiamo presi in giro”. Parole che trovano d’accordo anche Maddalena Gissi, segretaria nazionale della Cisl Scuola: “Un ritorno alla normalità è negli auspici di tutti, ma purtroppo siamo ancora ben lontani dal poter considerare conclusa un’emergenza il cui impatto sull’andamento delle attività scolastiche è stato e continua a essere molto pesante. “Non si può far finta che studentesse e studenti abbiano potuto seguire normalmente e dovunque nello stesso modo le lezioni: la realtà è ben diversa, ed è per questo che andrebbe lasciato il massimo spazio di intervento e di decisione ai consigli di classe nella gestione delle prove. Non sto chiedendo esami finti – precisa la Gissi – ma non si può nemmeno fingere che sia tornata per tutti e dappertutto una condizione di normalità e di uguali opportunità di accesso alla didattica. La serietà degli esami, che giustamente si invoca, non può essere perseguita ignorando le tante situazioni di disagio che molte classi stanno ancora vivendo”.
A dividersi sono solo i docenti ma la maggioranza sposa l’esame “normale”. Salvo Amato, a capo dell’associazione “Professione insegnante” (che sul gruppo Facebook conta 180mila aderenti) è d’accordo con il ministro: “Il nuovo esame di Stato – dice Amato – punta un po’ alla normalità. L’aver reintrodotto le due prove scritte conferisce la serietà che è mancata nei due anni precedenti. La seconda prova scritta stavolta è a cura della commissione: sappiamo benissimo che essa rappresenta la vera bestia nera degli esami di Stato ma contemporaneamente un’ ulteriore manifestazione di serietà, sarà cura delle commissioni renderla autentica”. Stanganelli che insegna al liceo scientifico “Boggio Lera” di Catania è anche lei in sintonia con il ministero: “I ragazzi sono abbandonati a loro stessi e le commissioni ne terranno conto. Un esame così può aiutare a comprendere che serve studiare, che bisogna prepararsi. Negli ultimi anni si è persa serietà. Anzi, ci dovrebbe essere una commissione mista tra esterni e interni anziché tutti docenti della scuola”.