Sono racconti crudi, a tratti efferati, che mostrano le molteplici sfumature dell’amore, della sottomissione, del tradimento e della vendetta. Un punto di vista femminile inusuale nel panorama della letteratura cinese contemporanea, che deve molto alla tradizione (rivisitata), ma anche al privilegio (o alla sfortuna) di carpire l’oggi e le sue contraddizioni.
L’incubo di Fukushima Dai-ichi percorre tra le righe tutto il testo, crea demoni e visioni che ribaltano il mondo costituito e generano una originale storia con due protagonisti riuscitissimi: il gracile quindicenne Mumei, con i capelli grigi e in sedia a rotelle, e suo nonno Yoshiro, vetusto vecchietto in ottima salute, fanatico del jogging.
Il primo raccoglie una cinquantina di racconti tratti da alcune opere realizzate in Giappone tra i periodi Nara (710-794) e Kamakura (1185-1333) che trattano di demoni (oni), fantasmi, spiriti, animali fatati, draghi e figure mitologiche, tra cui i tengu, creature legate al buddhismo dall’aspetto di corvi antropomorfi. L’effetto è sia comico, sia terrificante. Il risultato è un continuo colpo di scena per per il lettore.
Il secondo testo raccoglie invece dodici racconti scritti in Corea nella prima parte del Ventesimo secolo. Il filo conduttore è l’amore visto sotto i più svariati punti di vista: amori tormentati, amori giovanili, amori non corrisposti e amori sofferti. Alcuni racconti sono leggeri, altri si spingono nell’erotismo più estremo, in tutti ne viene fuori una visione che si discosta molto da un potenziale immaginario tradizionale: i protagonisti sono spregiudicati nei loro atti, liberi dai preconcetti della società, a volte ruvidi e violenti. In essi si legge uno spaccato di vita coreana nei tempi in cui la penisola era sopraffatta dall’impero giapponese che ne influenzava lingua e cultura. Una sorta di manifesto di libertà.