Richiesta di estradizione con contestuale mandato d’arresto internazionale: dopo la condanna in via definitiva a 9 anni di carcere per violenza sessuale di gruppo, è stata iscritta in Procura a Milano la procedura in vista dell’ordine di esecuzione della pena per Robinho. Lo scorso 19 gennaio la Cassazione ha confermato la condanna per l’ex attaccante del Milan e un suo amico, che secondo la sentenza la notte del 22 gennaio 2013 abusarono di una 23enne all’interno di un locale milanese. Nel corso delle indagini non erano state emesse misure cautelari, mentre gli altri uomini che avrebbero preso parte alle violenze non sono mai stati trovati.
Al momento gli atti sono arrivati dalla Cassazione e il fascicolo dell’esecuzione è stato iscritto e assegnato al pm Adriana Blasco. Dopo la raccolta di alcuni documenti per l’accertamento dell’identità dei due condannati, scatterà la fase dell’ordine di esecuzione con la trasmissione al ministero della Giustizia della richiesta di estradizione, da far pervenire alle autorità brasiliane, e l’emissione del mandato d’arresto. Robinho e il suo amico vivono entrambi in Brasile. Pare scontato che l’ex calciatore non sarà consegnato alla giustizia italiana perché la Costituzione federale brasiliana non consente l’estradizione dei propri cittadini, ma con il mandato d’arresto internazionale potrebbe essere arrestato qualora uscisse dal Brasile e fosse rintracciato in un altro Paese.
Secondo le indagini, l’ex stella brasiliana ha fatto bere la ragazza fino al punto da renderla incosciente e poi l’ha violentata insieme ad altre persone, senza che lei potesse opporsi, in un guardaroba di un locale notturno della movida milanese, dove la giovane si era recata per festeggiare il compleanno. Il sostituto pg di Milano Cuno Tarfusser nel processo d’appello aveva chiesto la conferma delle due condanne smontando le quattro consulenze tecniche prodotte dalla difesa di Robinho, tra cui una con foto tratte dai social e che puntava a dimostrare che la ragazza era solita bere alcolici. Nelle motivazioni della sentenza d’appello i giudici avevano scritto che l’ex talento rossonero e i suoi “complici” avevano manifestato “particolare disprezzo” nei confronti “della vittima che è stata brutalmente umiliata” e avevano “da subito cercato di sviare le indagini offrendo agli inquirenti una versione dei fatti falsa e previamente concordata”.