Di asili nido e materne pubbliche non c’è traccia nemmeno negli ultimi provvedimenti sulla scuola allo studio del governo. Semplicemente non pervenuti. La scorsa settimana Ilfattoquotidiano.it ha pubblicato un reportage dando voce a un gruppo di mamme romane sul piede di guerra: “Asili nido e materne sovraffollati, senza mascherine e in gruppi anche di trenta bambini. Perché sono state abolite le bolle in piena pandemia?”. Da settembre scorso queste mamme chiedono alle istituzioni – a tutela della salute dei propri figli – il ripristino delle cosiddette “bolle“, cioè classi composte da massimo sette bambini nella fascia d’età 0-5 anni, ma vengono ignorate. “Non esiste il rischio zero di contrarre la Covid, ma in classi pollaio di 20-25-30 bambini, come quelle in cui vanno le nostre figlie e i nostri figli, senza mascherina, né possibilità reali di distanziamento e nemmeno il vaccino, ridurre la dimensione dei gruppi è l’unica misura di sicurezza possibile per questa fascia d’età, la più esposta, senza alcun paracadute”. Niente da fare, della fascia 0-5 sembra che nessuno si voglia occupare.
All’inizio dell’anno scolastico, inspiegabilmente, le bolle sono state soppresse perché non c’era “più alcuna urgenza sanitaria di fare gruppi piccoli”: questa la risposta arrivata alle mamme che hanno protestato. Così le sezioni di massimo sette bambini sono diventate di nuovo un miraggio, quando avrebbero dovuto essere una conquista di civiltà, uno dei pochi miglioramenti portati dalla pandemia. Intanto, in queste settimane, il virus è tornato a correre veloce e a contagiare colpendo proprio i più piccoli: altro che “nessuna urgenza sanitaria”. E mentre sappiamo – nel bene e nel male – cosa accade in elementari, medie e superiori, nessuno parla dei nidi e delle materne, dimenticate dal dibattito pubblico e dalle dichiarazioni dei politici. E allora vi abbiamo chiesto: le classi pollaio sono un’emergenza solo romana? Purtroppo no. In tutta Italia state vivendo gli stessi disagi e ci state scrivendo tantissime lettere per raccontarli. La richiesta di ripristinare le bolle per ridurre i rischi sanitari nella fascia 0-5 è diventata così corale. Dopo il nostro articolo sono arrivate decine di lettere-testimonianza di genitori da tutta Italia, a riprova del fatto che questo problema è più diffuso e sentito di quanto si pensi. O comunque di quanto si racconti sui giornali. Ecco alcune delle vostre storie.
“In classe di mia figlia sono in 34. Dopo quattro giorni siamo già in quarantena” – Ludovica ha quasi due anni e frequenta il secondo anno di nido comunale a Milano: “Ben 465 euro al mese di retta”, puntualizza la mamma, Fabiana Bacigalupo. E la classe – racconta – “è composta da 34 bambini. Sì, 34! Nonostante la responsabile ci rassicuri che i bambini durante il giorno vengono suddivisi in gruppi per le varie attività, io trovo allucinante che bimbi così piccoli, e quindi inermi e indifesi contro il Covid, possano far parte di una classe così numerosa. Ahimè, come famiglia, non abbiamo altre alternative che affidarci alla sorte. E infatti dopo soli quattro giorni siamo già in quarantena“. Un’altra mamma milanese scrive che nell’asilo dei suoi bimbi, da novembre, hanno scelto di accorpare le “bolle”. “A gennaio, data la nuova ondata e la notizia di alcuni bambini e/o genitori positivi durante le feste, ho subito chiesto se e quali accorgimenti avrebbero adottato: “Nessuno”, è stata la risposta delle educatrici. Allora, come rappresentante, ho fatto un sondaggio tra i genitori e 10 su 11 volevano il ripristino delle bolle, alcuni senza che questo intaccasse ovviamente l’orario di chiusura. La risposta: una fantastica “supercazzola”. Di fatto, per fortuna, ancora non sono rientrati tutti i bambini perchè molti genitori hanno paura. Alcuni hanno già preso un raffreddore (tra cui mia figlia) appena tornati. Non ci resta che sperare che non succeda nulla quando saranno tutti”.
“Beatrice vaccinata ma chiusa in casa due settimane: insopportabile” – “Ho due bambini di cinque e due anni. Beatrice, la maggiore, è vaccinata con due dosi di baby Pfizer, ma purtroppo quando la classe va in quarantena per dieci giorni lei finisce reclusa in casa alla stregua dei bambini non vaccinati”, ci scrive Rosa, da Roma. “E se anche fosse stata assente quel giorno, come è accaduto nella nostra classe, in ogni caso la frequenza è sospesa per tutti, anche per gli assenti che non hanno avuto contatti con il bambino positivo, e nonostante il personale docente sia vaccinato con tre dosi e indossi la mascherina tutto il tempo. Diciamolo chiaramente: perdere due intere settimane di scuola è insopportabile“, denuncia. “Il piccolo, Federico, non lo sto mandando al nido da metà novembre, pur continuando a pagare la retta, oltre alle babysitter. Da piccolissimo ha avuto la bronchiolite, i suoi raffreddori non sono come quelli di altri bambini e mi preoccupa l’idea che prenda il Covid. Senza contare che i bambini, oltre a essere reclusi durante le quarantene, finiscono inevitabilmente per guardare infinite ore di televisione e perdere il contatto col mondo”.
“Dopo Natale non ho rimandato il bimbo al nido” – “Le “bolle” nei nidi – sostiene Rosa – hanno funzionato benissimo l’anno scorso. Già a settembre noi genitori e le educatrici eravamo senza parole per questo repentino ritorno alla “normalità”, 25 bambini tutti insieme come se il Covid fosse già un ricordo. Questa volta era veramente difficile prendere una decisione sbagliata, ma ci sono riusciti. E pensare che a breve gli adulti potranno caricare online un tampone casalingo fatto male, mentre intere famiglie resteranno inchiodate alle quarantene ripetute dei propri figli”. “Ho deciso di non rimandare il bimbo al nido dopo le vacanze di Natale”, scrive invece Giulia, mamma di Niccolò, due anni e quattro mesi. “Non siamo stati gli unici della sezione, due coppie di genitori hanno addirittura deciso di ritirarli. Noi siamo fortunati, perchè abbiamo i nonni che possono guardare il bambino e una baby sitter di cui ci fidiamo ciecamente. Penso invece, con una stretta al cuore, a quelle famiglie che non hanno alternative e che presto o tardi dovranno fare i conti con la quarantena, o peggio, con il virus vero e proprio. Nella nostra sezione, con 18 bambini, è già successo”.
“Addio alle “bolle” e 31 bambini in quarantena” – “Sono mamma di una bimba di due anni e mezzo. Mia figlia va ad un nido comunale, una bella scuola in cui l’anno scorso si erano create le bolle per cercare di ridurre probabilità ed entità di eventuali contagi. Quest’anno no“, racconta Federica, da Torino. “O meglio, si era partiti con buone intenzioni: perché pre-scuola e nanna venivano gestiti insieme, ma almeno per la maggior parte del tempo, inclusi i pasti, i bimbi erano tenuti separati. Da un certo punto in poi, invece, tutti insieme sempre: 31 bambini che giocano, mangiano e passano tutto il tempo insieme, ovviamente senza mascherina, data l’età. Risultato: la settimana scorsa abbiamo avuto notizia di un positivo quindi tutta la sezione, le due “bolle” insieme, in quarantena, 31 bambini a casa. Da lì in avanti sempre peggio, se possibile. Quelli di noi (compresa me) che hanno fatto fare il tampone li hanno trovati TUTTI positivi, per adesso sei bambini su sei tamponi e gli altri arriveranno nei prossimi giorni.
“Tanti giorni di assenza, ma la retta va pagata tutta” – Mariarosa Rondinelli da Cologno Monzese, nell’hinterland di Milano, racconta: “Al rientro dalle vacanze di Natale, nel nido comunale di mia figlia, c’era solamente un’educatrice per classe. Le altre erano a casa per contagio o quarantena, dunque hanno pensato bene di accorpare i gruppi dei bambini, la classe dei grandi e quella dei piccolini entrati a novembre. Le lamentele profetiche delle mamme non sono servite a niente: “Siamo a corto di personale, stiamo facendo il possibile”, è stata la risposta. Ieri ci è arrivata comunicazione di un positivo, che è stato in contatto praticamente con tutti. La cosa che più fa riflettere è il continuo rimandare alla privacy della famiglia che, consapevolmente o no, ha provocato il contagio, quando la questione seria è che a fine mese viene comunque richiesta la retta per intero, anche con molte giornate d’assenza. Il bonus Inps viene rimborsato, ma per avere indietro i soldi può passare anche un mese, e se aggiungi appena qualche centinaio di euro a momenti tuo figlio lo metti alla privata, in cui magari c’è più cura, alimentando così l’idea che il servizio pubblico faccia schifo”.
“Un contagio e si bloccano trenta famiglie: la situazione è esplosa” – “Fino a Natale è andata abbastanza bene, non ci sono stati contagi, ma dopo la sosta natalizia si è verificato quello che tutti temevamo e aspettavamo: una classe di oltre venti bambini bloccata per un caso di positività“, scrive Enrico Doria, un papà di San Martino Siccomario (Pavia). “Quasi tutti i miei amici con bambini vivono la tessa situazione. Un contagio e si bloccano 20/30 famiglie. Le maestre sono anche brave e hanno sempre cercato di limitare i danni con abilità, ma si arriva a un punto che la situazione esplode. Non si possono avere classi così numerose e bloccare a casa bambini che non hanno nulla… non c’è nessuna capacità e volontà di trovare soluzioni alternative. Questa situazione è sfuggita di mano, è inaccettabile. L’anno scorso, con le “bolle” di cinque bambini, il nido ha funzionato benissimo. Nessuna chiusura. Perché non ripetere questo schema della divisione delle classi, assumendo più personale?”.
“Niente più bolle e mio figlio è sempre malato” – È normale, in periodo di Covid, far frequentare a mio figlio l’asilo nido condividendo lo stesso ambiente con più di venti bambini?”, si chiede Alessandra, mamma e biologa nutrizionista a Cagliari. “L’anno scorso si lavorava in bolle e mio figlio non si ammalava praticamente mai. Quest’anno le bolle sono inesistenti ed è costantemente malato, frequenta una settimana al mese. A casa nessuno si ammala, neanche l’altro mio figlio di otto anni, segno che il piccolo si ammala al nido. È partita prima di Natale la sanificazione del reparto lattanti a causa di un caso di Covid, mentre per i divezzi (i bimbi non più lattanti, ndr) nessuna indicazione, neanche avendo avuto contatto diretto con le educatrici del reparto lattanti che spesso provvedono alla consegna dei bambini in uscita. Possiamo da genitori sentirci tranquilli e tutelati?”.
“Lara a Napoli, noi a Bologna: non vogliamo rischiare il contagio” – “Siamo genitori di Lara, quattro anni, che frequenta la scuola materna comunale in una classe composta da circa 20 bambini”, scrivono Vincenzo e Annie Barometro, da Bologna. “Anche noi abbiamo prudentemente deciso di non mandarla a scuola la prima settimana e, ahinoi, i fatti ci hanno dato ragione, poiché dopo appena cinque giorni di frequenza sono emersi un paio di casi di positività tra i piccoli. Nel nostro caso questa decisione, volta a tutelare la salute di nostra figlia, ci impone di non poterla vedere quotidianamente perché l’abbiamo affidata ai nonni che abitano a Napoli, mentre noi per lavoro ci troviamo proprio a Bologna o spesso in viaggio. Non abbiamo nulla da eccepire riguardo alla gestione del comune di Bologna ma riteniamo che, in virtù del patto di corresponsabilità siglato tra genitori e scuola, il governo avrebbe potuto mettere in atto soluzioni e decisioni diverse, che tenessero maggiormente in considerazione le esigenze delle famiglie”.
“Io insegnante con classi da 25 bambini” – “Ho lavorato fino allo scorso anno alla scuola dell’infanzia”, racconta ancora da Bologna Laura D’Avossa, insegnante. “Da noi le bolle erano di 25 bambini. In piena pandemia, il provveditorato ha ridotto le classi a tre invece di quattro, così invece di avere quattro classi da 17 ci siamo ritrovate con tre classi da 25, due docenti in meno e l’assurdità di aumentare il numero di bambini per classe anziché diminuirlo. Sempre lo scorso anno”, aggiunge, “mio figlio piccolo era al nido in una sezione di 28 bambini. Quest’anno io lavoro alla primaria, le mie colleghe dell’infanzia sono nella stessa situazione, l’unica cosa che cambia è che passano le FFP2 e non devono acquistarle. È una follia… e comunque le bolle erano state presentate e accolte bene dal corpo insegnanti che si sarebbero trovati a gestire piccoli gruppi di 7/8 bambini, questo si é verificato solo durante i centri estivi nel 2020, poi a settembre una cosa così non sarebbe stata sostenibile perché per dividere in due tutte le classi avrebbero dovuto chiamare una marea di supplenti. Morale della favola, ovviamente non l’hanno fatto, ci siamo a trovate a lavorare in condizioni peggiori e ci hanno riempito solo di aria fritta“.
“Sono stanca, come spiego a mio figlio che deve stare a casa?” – “Io ci ho voluto provare ad avere fiducia nella scuola, ma ho Nina e Francesco in quarantena”, sintetizza Carla Molinari, da Taranto. “In classe di Francesco da settembre sono 23, mentre l’anno scorso erano molti meno con le classi Covid e le bolle. Già a settembre mi puzzava questa roba, ero incazzatissima, mi dicevo: è già finito tutto? Così, da un anno all’altro il Covid non esiste più a scuola? Mah! E infatti non ci sarebbe il disastro di oggi. E poi ho pianto, come spieghi a un bimbo di 4 anni che lui è un contatto diretto, che deve stare a casa dieci giorni ma i genitori possono uscire perchè sono contatto di contatto? Privato di nuovo dello stare con coetanei, del fare una passeggiata mentre gli altri escono, gli adulti hanno il vaccino e loro sono i deboli, privati di tutto. Sono psicologicamente stanca, distrutta. Avrei altre mamme nella mia stessa situazione, pronte a dire la loro. E poi le procedure, una barzelletta. Poco chiare. Nessuno risponde alle famiglie. L’Asl in tilt. Bambini a fare tamponi nasali ogni tre per due. Ormai sembro una pazza, scusate se vomito cose a pezzi ma sono stanca”.