“Sono esausta e piena di rabbia. Grazie per avermi chiamato, è un’attenzione che mi fa sentire meno sola”. Serena Giusti vive e lavora a Milano: è mamma di due gemelle di quasi tre anni, Anna e Giulia, e lavoratrice a tempo pieno. Dopo aver letto il nostro articolo sul sovraffollamento nei nidi e nelle materne pubbliche, racconta, “ho aperto il computer di notte mentre le bimbe dormivano e vi ho scritto subito: stiamo vivendo in un incubo”. Serena e suo marito non sono di Milano. Hanno i genitori lontani: “Siamo completamente soli a far fronte al periodo più folle che potessimo aspettarci”. Ci diamo appuntamento in serata, per provare a parlare tranquille, ma è impossibile: in sottofondo le gemelle cercano la sua attenzione, parlano, urlano, giocano, com’è normale che sia. Com’è andata la giornata? “Un inferno, anche oggi sono uscite alle 15 invece che alle 16:30 e me l’hanno comunicato stamattina stessa”. E perché? “Semplice, non c’è abbastanza personale. La maestra di rafforzamento, cioè quella che dovrebbe sostituire le altre se si assentano per malattia, è una sola e non riesce a far fronte alle emergenze. Basta che due educatrici si ammalino e salta tutto. Mi sono informata. In molte altre scuole private le maestre di rafforzamento sono due o anche tre. Il servizio così non si blocca mai”. Succede spesso? “Oggi siamo stati fortunati. È capitato che la mattina stessa mi abbiano detto: venga a prendere le gemelle alle 13. Se va bene ce lo dicono la sera prima, altrimenti la mattina stessa e a quel punto chi chiamo?”.
Ore di permesso, ferie, smart working. “Ma con due bimbe di quasi tre anni non si può lavorare da casa. È impossibile, vanno seguite, sono piccole”. Le gemelle da quest’anno vanno alla sezione Primavera, una classe intermedia dentro la scuola materna: “Paghiamo 300 euro al mese per entrambe, ma dovevano restare a scuola fino alle 18 e invece a gennaio hanno ridotto l’orario alle 16:30. E tutte le volte che finiamo in quarantena o riducono la permanenza in classe devo chiamare la tata, e sono altri soldi a carico nostro”. Paradossalmente, il primo anno di pandemia è stato più semplice. “Eravamo più preparati, e poi, a parte un mese di chiusura, il nido è stato più o meno sempre aperto. Con orari chiari dall’inizio. Dalle 7:30 alle 16:30 garantiti, così avevamo preso una tata dalle 16:30 alle 18:30 per coprire il nostro orario di lavoro”. A settembre scorso la coppia sceglie di fare a meno della tata: la scuola garantiva servizio fino alle 18:30. Ma dura poco. “Il 3 gennaio ci informano che l’orario cambia di nuovo: 16:30 tutti a casa. Un incubo, ci siamo ritrovati nel caos anche per colpa delle quarantene”.
La sezione Primavera in cui vanno Anna e Giulia è composta da venti bambini e tre maestre. Non c’è ombra di “bolle” nemmeno qui a Milano, le quarantene ormai sono all’ordine del giorno. “Al rientro dalle vacanze di Natale, le gemelle la prima settimana sono rimaste a casa, erano raffreddate. Al quarto giorno di scuola la loro è stata chiusa per un caso positivo, tutti in quarantena, tranne le mie figlie che non erano presenti. A quel punto abbiamo chiesto se potevamo portarle, visto che stavano bene e non avevano avuto alcun contatto stretto con un positivo. Per un po’ ci hanno rimbalzato, finché è arrivata la comunicazione ufficiale che la classe sarebbe rimasta chiusa per tutti, anche per gli assenti. Siamo purtroppo di fronte ad un paradosso, o vuoto normativo, che sta costringendo tantissimi bambini e famiglie ad una mancata erogazione di servizio scolastico, mettendo in ginocchio tutti: i bambini assenti durante il contatto con il positivo non sono in quarantena, possono uscire di casa, le maestre se vaccinate e negative continuano ad andare a scuola, ma noi non possiamo usufruire del servizio scolastico”.
Almeno c’è il congedo Covid, si dirà. “No, non c’è: perché se le bimbe non rientrano nella quarantena io non ne ho diritto”. Serena bussa anche questa volta ad alcuni asili privati e scopre ancora una volta una diversa applicazione della norma. “Loro restano aperti per i bimbi non soggetti a quarantena. Che rabbia: perché deve esserci questa differenza di trattamento tra nidi privati e comunali? È tutto sulle nostre spalle, io lavoro in una società di elettrodomestici, qualcosa posso farlo in smart working ma ormai in azienda è ripartito tutto, si richiede anche la mia presenza, manca poco e mi chiederanno anche di tornare a fare le trasferte”. Serena va a lavoro alle 7:30, suo marito porta le bimbe al nido, non fa pausa pranzo per non perdere tempo. Esce alle 15:30 per andare a riprenderle. Si porta ogni giorno a casa il lavoro arretrato: “Lo finisco la sera quando le metto a nanna”. È così che si finisce per dormire e mangiare molto poco, si accumula stress, rabbia e senso di solitudine. E si vive nell’ossessione che potendosi permettere più agi si vivrebbe meglio: tutti, anche le bimbe.