L'authority ha dato via libera (condizionato) allo schema di decreto che regola l'utilizzo delle informazioni a disposizione delle Entrate per individuare i contribuenti da sottoporre a controlli. Il Tesoro dovrà rimettere mano ad alcuni punti del testo, che in base al cronoprogramma del Recovery va approvato entro fine giugno. Ma la strada è segnata e gli impegni con Bruxelles imporranno anche a chi andrà al governo nel 2023 di continuare a seguirla. Per gli addetti ai lavori, il ricorso ai big data segnerà una svolta nella lotta alla tipologia di frode più difficile da scovare, quella da omessa fatturazione
In mezzo ci sono stati la pandemia e il varo del Recovery plan, che prevede ambiziosi obiettivi e target per quanto riguarda la riduzione dell’evasione fiscale. En passant è stato pure rinnovato il collegio del Garante privacy, ora guidato da Pasquale Stanzione. Così, a due anni dall’inserimento della norma nella legge di Bilancio 2020, l’authority ha dato via libera allo schema di decreto che regola l’utilizzo delle informazioni contenute nell’archivio dei rapporti finanziari e nelle altre banche dati a disposizione delle Entrate per individuare i contribuenti da sottoporre a controlli in quanto presentano “sintomi” di scarsa fedeltà tributaria. Il parere, datato 22 dicembre, è stato reso noto a fine gennaio. Un assist indispensabile per il governo: il cronoprogramma del Pnrr – su cui mercoledì, archiviata la partita del Colle, Mario Draghi intende fare il punto in consiglio dei ministri – prevede che entro fine giugno siano approvate le disposizioni necessarie per completare la “pseudonimizzazione” dei dati (si tratta di renderli non direttamente attribuibili a una determinata persona fino al termine dell’analisi) e sia creata l’infrastruttura digitale. È il primo passo per ridurre la propensione a evadere, specifico impegno preso nel Piano. E chiunque andrà al governo dopo le elezioni del 2023, per ottenere le sovvenzioni europee dovrà proseguire su questa strada.
Il percorso però è ancora lungo. Di qui all’avvio vero e proprio della macchina di analisi del rischio, gestita dall’Agenzia delle Entrate con il supporto di Sogei, ci sono diversi passi da fare. Difficile che prima dell’autunno possa partire la creazione del dataset di analisi, cioè l’insieme delle informazioni da setacciare (si va potenzialmente dai saldi iniziali e finali dei conti correnti ai dati su patrimonio immobiliare e mobiliare, utenze e spese da cui derivano detrazioni), e poi di quello di controllo, cioè il gruppo di contribuenti da mettere sotto la lente perché hanno speso troppo rispetto ai redditi dichiarati oppure hanno caratteristiche simili a quelle di soggetti già scoperti a sottofatturare. Il ministero dell’Economia dovrà per prima cosa rimettere mano alla bozza di decreto, perché la decisione del Garante è subordinata a una serie di condizioni relative a tipologia di trattamenti e di dati esaminati, trasparenza, diritto di accesso, circoscrizione del diritto di ottenere la limitazione del trattamento e misure per assicurare un adeguato coinvolgimento di personale in carne e ossa – peraltro già esplicitamente previsto – per monitorare l’esito del processo automatizzato.
La legge di Bilancio per il 2020, va ricordato, ha modificato il Codice della privacy inserendo gli “interessi tutelati in materia tributaria e lo svolgimento delle attività di prevenzione e contrasto all’evasione fiscale” nella lista degli obiettivi che vengono prima del diritto del singolo alla protezione dei dati e possono dunque giustificarne limitazioni. Di conseguenza, per esempio, l’autorità non ha obiezioni sul fatto che per gli interessati venga escluso il diritto di sapere se i loro dati sono all’esame dell’Agenzia ai fini dell’analisi di rischio. Ma storce il naso di fronte al trattamento di dati relativi alle spese sanitarie (anche se verrebbero usate solo le informazioni sulle detrazioni godute) e alle diverse limitazioni previste per i contribuenti che ricadranno nel dataset di analisi rispetto a quelli del set di controllo, visto che le Entrate potranno conservare quest’ultimo fino al decimo anno successivo a quello del sollecito alla regolarizzazione mentre il primo “scadrà” dopo otto anni da quello della dichiarazione dei redditi.
Ora, incassato l’ok, occorre bilanciare il rispetto di questi paletti con il fine ultimo dell’esercizio di analisi del rischio e i riflessi attesi sulle casse pubbliche, a cui l’evasione sottrae un centinaio di miliardi all’anno. Secondo gli addetti ai lavori, il ricorso ai big data potrebbe segnare una vera svolta nella lotta alla tipologia di frode più difficile da scovare, quella da omessa fatturazione, che presuppone il consenso tra due operatori economici o, su piccola scala, tra venditore e acquirente. Per intenderci, si parla della classica proposta “70 euro con la fattura, 50 senza”. In questi casi ovviamente non c’è fatturazione elettronica che tenga visto che la fattura non esiste: l’unico modo per affrontare il problema è sfruttare il patrimonio informativo dell’Agenzia delle Entrate che nel frattempo si è anche dotata di personale specializzato in informatica e analisi dei dati.
Entro la fine di giugno va trovata la quadra. E la stessa scadenza è segnata in rosso per un altro motivo: il Pnrr impone al governo di mandare in porto per quella data anche la normativa su “ulteriori azioni efficaci basate sulla relazione sulle possibili misure per ridurre l’evasione da omessa fatturazione”, appunto. C’è l’imbarazzo della scelta tra le proposte messe nero su bianco dal dipartimento delle Finanze del Mef nel documento pubblicato a fine dicembre: si va dagli ulteriori incentivi ai consumatori, per esempio estrazioni istantanee della lotteria degli scontrini, alla possibilità di prevedere che le lettere di compliance in caso di mancata risposta si trasformino in titoli con efficacia esecutiva (una specie di mini cartella esattoriale), fino all’utilizzo di tecniche di data scraping per raccogliere sul web informazioni utili al fisco. Alcune idee, come quest’ultima, andrebbero comunque sottoposte al parere del Garante. Quasi tutte sono politicamente incandescenti e lo saranno sempre di più con l’avvicinarsi delle elezioni del 2023. Fortunatamente la decisione va presa adesso. E nel 2023 e 2024 ci attende il controllo sui risultati in termini di riduzione del tax gap (la propensione a evadere), rispettivamente al 17,6% e al 15,8% dall’attuale 18,5%. Impegni che legheranno le mani a chiunque andrà il governo all’inizio della prossima legislatura, qualunque cosa prometta agli elettori.