Dai risultati delle elezioni del Presidente della Repubblica mi sembra che emerga, sempre con maggior chiarezza, la finalità dei poteri forti, e dei loro agenti politici in Italia, di indebolire sempre maggiormente la democrazia costituzionale, veicolando il potere decisionale sempre più nelle mani di pochi fidati politici.
Fatto significativo è che nel periodo delle elezioni non si è data nessuna attenzione alla economia italiana che versa in situazioni sempre più gravi e tutto è stato oscurato dalle diatribe di singoli esponenti politici di partiti leaderistici o populisti.
In pratica è lo stesso ordinamento costituzionale che comincia a scricchiolare in modo abbastanza impressionante, al punto che, nonostante l’articolo 85 della Costituzione affermi in modo chiaro che: “il Presidente della Repubblica è eletto per 7 anni“, facendo chiaramente intendere che è vietata la rielezione della stessa persona, la notizia del voto a Mattarella non ha destato in nessuno la preoccupazione di violare la Costituzione e di ritenere, quanto meno, che il prolungamento delle funzioni presidenziali di Mattarella potesse essere giustificato soltanto per uno stato di necessità e nei limiti di tempo della durata di quest’ultima.
Comunque quello che mi preoccupa maggiormente è che si sta mettendo in atto un’opera di trasformazione dell’intera orditura dei principi e delle norme costituzionali.
In questo stato di cose non mi rivolgo ai partiti, che per altro hanno deciso di agire per una dipendenza dell’Italia dal mercato generale speculativo, ma mi rivolgo a tutti i lavoratori perché facciano sentire il valore più importante e fondamentale che costituisce la base della nostra Repubblica: per l’appunto il valore del lavoro.
Nel disegno costituzionale è escluso che il governo agisca nell’interessa della speculazione finanziaria e i fini della Costituzione sono sanciti molto chiaramente dall’articolo 3, comma 2, che pone il principio d’eguaglianza economica cui si collega lo sviluppo della persona umana, nonché la partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese; nonché dall’articolo 4 della stessa Costituzione, il quale non solo sancisce il diritto fondamentale al lavoro, ma precisa altresì che ogni cittadino “ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società”.
Insomma secondo la Costituzione quello che conta è che tutti debbano lavorare e che tutti debbano godere in modo eguale dei frutti scaturenti dal lavoro. Viceversa i nostri governanti, spostando il centro di gravità sul mercato generale, esaltano la necessità dei licenziamenti, del lavoro precario e la minima retribuzione, anche questa in palese contrasto con l’articolo 36 della Costituzione, il quale precisa il minimo di eguaglianza economica che deve esserci fra i lavoratori dipendenti, e cioè il diritto “a una retribuzione in ogni caso sufficiente ad assicurare, a sé e alla famiglia, un’esistenza libera e dignitosa”.
Un principio ripreso dall’articolo 38 Cost., secondo il quale soltanto gli inabili al lavoro hanno diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.
Si deve capire che il sistema capitalistico neoliberista mira alla distruzione della persona umana e al concetto stesso di Stato-Comunità, aumentando e falsamente legalizzando il divario fra ricchi e poveri, i quali ultimi finiscono per diventare miserabili schiavi e mera merce di scambio.
Lo strumento che la Costituzione offre per l’attuazione di questo saggio disegno è costituito dal demanio costituzionale, cioè dell’appartenenza al Popolo di quei beni di preminente interesse generale, tra i quali sono da ricordare: il paesaggio, i beni artistici e storici (art. 9 Cost); i servizi pubblici essenziali, le fonti di energia, le situazioni di monopolio e le industrie strategiche (art. 43 Cost.); tutti beni che per la loro ineliminabile funzione sociale sono da ritenere, ai sensi dell’articolo 42 Cost., proprietà pubblica demaniale del Popolo e quindi inalienabili, inusucapibili e inespropriabili e, in ultima analisi, non privatizzabili. Il contrario di quanto ha affermato e sta compiendo Mario Draghi.
Non mi resta che ribadire la necessità di attuare gli articoli 1, 2, 3, 4, 9, 11, 41, 42, 43 e 118 della nostra Costituzione repubblicana e democratica