Quest’anno la competizione transalpina presenta un quarto di finale tra due squadre dilettanti di quarta divisione. Situazione simile avviene nei paesi europei calcisticamente più rappresentativi. L'Italia in controtendenza: mentre altrove si cerca di includere i club delle serie minori, da noi il torneo è organizzato in modo tale da far primeggiare le big del massimo campionato
Le coppe nazionali sono i tornei più anacronistici dell’attuale mondo calcistico, eppure rimangono i più inclusivi. Sono le coppe di tutti, perché qualsiasi squadra potrebbe teoricamente vivere il suo momento di gloria disputando un torneo da protagonista. Ovviamente a patto che i citati tornei non siano strutturati in format appositamente pensati per soffocare qualsiasi potenziale storia proveniente dal basso. Da questo punto di vista, l’Italia ormai è rimasta da sola. L’unico paese in cui la coppa nazionale non è la coppa di tutti, ma un torneo chiuso ed elitario dove non c’è spazio per qualche bella storia di calcio minore capace di appassionare, anche solo per qualche settimana, tutto il paese, travalicando la divisioni del tifo. Quanto meno per continuare a illudersi che il calcio non sia affare privato tra élite di estrazione varia.
Quest’anno la Coppa di Francia presenta un quarto di finale tra due squadre dilettanti di quarta divisione, il Fc Bergerac Perigord e il Fc Versailles 78, entrambe protagoniste di due imprese nel turno precedente, dove hanno eliminato rispettivamente Saint Etienne (Ligue 1) e Tolosa (Ligue 2). Quest’ultimo non è propriamente definibile un giant killing, ma rimangono le due categorie di differenza e, soprattutto, il fatto che il Versailles abbia ottenuto la vittoria in trasferta. Non c’è dubbio che la squadra della cittadina dove è situata la famosissima Reggia sia una delle storie principali emerse nell’attuale stagione di calcio transalpino, anche per via di una fake news circolata a mezzo stampa in tutta Europa, in un classico esempio di storytelling degenerato nel sensazionalismo. E’ stato infatti raccontato che il Versailles ha giocato l’ottavo di finale a Tolosa, e non nel proprio stadio, il Montbauron, per la mancanza di un impianto di illuminazione del proprio impianto a causa di un’antica legge reale promulgata da Re Sole che proibiva fonti luminosi nei dintorni della Reggia di Versailles. Una panzana bella grossa.
In realtà la mancanza di illuminazione del Montbauron deriva da una legge che tutela la conservazione del patrimonio UNESCO, al quale appartiene la Reggia, e nello specifico della “protezione visiva”, vale a dire il divieto di erigere, nel raggio di cinque chilometri, elementi permanenti, relativi a una costruzione eretta successivamente al bene tutelato, abbastanza alti da inficiare la libera vista del luogo da parte dello spettatore. Trovandosi su una collinetta, lo Stade Montbauron si colloca pienamente nel campo di protezione visiva della Reggia, e quindi eventuali tralicci (ma anche grate o inferriate) a sostegno dell’impianto costituirebbero elementi invasivi. Non si tratta quindi di un problema di luce, ma di tutela di beni culturali.
Oltre all’Inghilterra, la cui FA Cup è una vera e propria miniera di storie di calcio minore e giant killing, è proprio la Francia il paese nel quale più spesso spuntano club di provincia capaci di diventare mascotte di un intero paese per un breve lasso di tempo, prima di tornare nell’oblio che gli è sempre appartenuto. Squadre come Lusitanos, Quevilly (finalista nel 2012 da militante nel National, terza divisione), Epinal e Calais. Quest’ultima era una squadra di dopolavoristi militante in quarta divisione che nel 2000 arrivò in finale dopo aver superato 13 turni e aver eliminato club di Ligue 1 quali Lille, Strasburgo e Bordeaux, prima di arrendersi 2-1 al Nantes nell’atto conclusivo, dopo essere passata in vantaggio. Emozioni simili in Spagna le aveva regalate il Mirandés nella Copa del Rey 2011-12. Questo club di Segunda B (terza serie) era arrivato fino alle semifinali guidato in campo da Pablo Infante, bancario che ogni giorno si sciroppava 50 chilometri per raggiungere il posto di lavoro, e quando rientrava a casa alla sera, sperando di non rimanere imbottigliato lungo l’autostrada che lo riportava a Miranda de Ebro, aveva giusto il tempo di preparare la borsa e andare agli allenamenti. Stessa divisione anche per l’Alcorcón che nel 2009 superò 4-0 il Real Madrid di Manuel Pellegrini, sceso in campo non con le riserve ma con nove nazionali, tra cui Raul, Benzema e Van der Vaart.
In Germania c’è un cippo commemorativo fuori dallo stadio del Vestenbergsgreuth, società dell’omonimo villaggio di 400 abitanti della Franconia, che ricorda il successo del 1994 in Coppa di Germania ai danni del Bayern Monaco di Giovanni Trapattoni. Di fronte ai vari Kahn, Matthäus, Papin, Scholl, Babbel e Hamann scesero in campo medici, studenti, impiegati di banca, poliziotti. La rete vincente la segnò il meccanico Roland Stein. Si entra invece già nell’ambito del semi-professionismo con l’Eintracht Trier, che nella DFB Pokal 97/98 eliminò in successione Schalke 04 e Borussia Dortmund, all’epoca detentori rispettivamente di Coppa Uefa e Coppa Campioni. La squadra di Treviri raggiunse le semifinali, uscendo ai rigori. Più recente invece in Olanda la storia del VVSB, Voetbal Vereniging Sint Bavo (Società Calcistica Santo Bavone, dove quest’ultimo è un monaco belga il cui culto è molto diffuso nei Paesi Bassi), squadra dilettante arrivata in semifinale. Ce la portò Maikey Parami, un ragazzo con un contratto di stage presso la catena di negozi casalinghi Hema, che poco dopo lasciò il lavoro per tentare l’avventura nel calcio professionista. Non funzionò, e la sua parabola fu quasi una dimostrazione indiretta di come certe storie da re per una notte non possono che rimanere tali.
In Italia questi racconti non esistono. Non ci potrà mai essere un Pontdonnaz modello Calais, né si potrà collocare una targa ai piedi del monte Gelbison per celebrare un’impresa alla Vestenbergsgreuth della squadra campana. Si possono solo ricordare due club di Lega Pro, l’Alessandria semifinalista nella Coppia Italia 2015-2016 o il Pordenone agli ottavi nell’edizione 17-18, ma si tratta comunque di società professionistiche. I friulani uscirono dopo aver perso ai rigori a San Siro contro l’Inter, quindi a testa altissima, ma già il fatto che dal torneo sia bandito il sorteggio del campo, con la partita disputata in casa della squadra più forte (o comunque meglio piazzata nella stagione precedente), dice tutto sui criteri organizzativi, e sulla cultura sportiva, di chi comanda. E mentre anche i paesi più propensi ad accontentare le esigenze delle big, come ad esempio la Spagna, in tempi recenti hanno riformato la competizione in senso più inclusivo, l’Italia ha seguito la direzione opposta, riservando il torneo solo alle compagini di Serie A e B, più quattro intruse di Lega Pro. In Italia non c’è nessuna coppa di tutti. In Italia anche la coppa è cosa loro.