di Antonio Di Giovanni
“Se volevamo dimostrare l’incapacità politica del nostro Paese ci siamo riusciti perfettamente”. 759 voti, molti di più della volta precedente, hanno rieletto, con evidente “eccezione giuridica”, Sergio Mattarella per un secondo mandato al Quirinale. Un consenso indiscutibile e molto elevato, che tuttavia mette in luce tutta la fragilità e l’incapacità dell’attuale politica italiana. Per carità, Mattarella è persona che ha dimostrato durante il suo settennato una grande correttezza istituzionale, sia nella forma sia nella sostanza, ma ciò non attenua un risultato che certifica un Paese incapace di trovare una figura super partes di alto profilo, un Paese arretrato e retrogrado sotto il profilo prettamente politico ma anche degli stessi politici.
Ciò significa che la politica del nostro Paese è priva di una corrispondenza con la realtà del popolo e ciò produce una lunga serie di ridicole conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. Per molto tempo, la politica ha provato a proporre una serie di azioni pragmaticamente distinguibili tra loro, senza che però queste distinzioni abbiano prodotto alcunché, se non cedere il passo a un processo di omologazione mediatica che non ha realizzato un “nuovo potere”, bensì ha confermato giorno per giorno quello più vecchio possibile.
È difficile accettare di esserci presentati sette anni dopo con lo stesso schema di sette anni prima: gli stessi linguaggi, le stesse proposte, le stesse facce e gli stessi nomi. Il problema della politica italiana è che non c’è niente di nuovo e nessuna volontà di cambiamento o di far crescere in questa chiave i nuovi gruppi dirigenti. Direi che agli italiani non servono più figure di “poltronari retroscenisti” come Pierferdinando Casini, che siede in parlamento da 35 anni, come Umberto Bossi, che vi siede invece da 27 o come Giorgia Meloni, Gianfranco Rotondi, Elio Vito – solo per citarne alcuni che siedono anche loro da lunghissimo tempo in Parlamento.
Rinnovamento, aria nuova. Apriamo le finestre del nostro Parlamento e facciamo uscire quest’aria stantia, vecchia, ormai intrisa di logiche desuete e incardinate in un sistema di potere che difficilmente cambierà strada. La cronaca del “Romanzo Quirinale”, come qualcuno ha pensato bene di definirla, purtroppo è fin troppo chiara: scampata la disastrosa, quanto indecente candidatura di Silvio Berlusconi, abbiamo assistito alla proposta in salsa democristiana di Casini, un trasformista incallito che si ritira alla fine quando capisce che il suo nome non è uno dei più graditi (come se lo fosse mai stato), per poi assistere allo sfacelo del centrodestra con il flop clamoroso di Maria Elisabetta Casellati – in preda ai messaggini whatsapp che hanno costretto il Presidente della Camera dei deputati Roberto Fico a rallentare lo spoglio delle schede.
E, per finire, l’operazione Belloni dove Luigi Di Maio, dopo aver visto “scippata” da Giuseppe Conte e Matteo Salvini proprio la carta che avrebbe voluto giocarsi lui, ha cominciato a dare uno spettacolo impietoso degno del peggior Renzi che abbiamo visto ultimamente. Insomma, alla fine dobbiamo augurare per la seconda volta un buon lavoro al Presidente Mattarella, con l’auspicio che qualche sassolino dalla scarpa, nel discorso del giuramento, se lo tolga, attraverso una bella strigliata ai leader di partito (nessuno escluso), fosse anche solo per il mancato rispetto al genere femminile, usato con molta probabilità per i giochi di palazzo.