Capita. Capita proprio ai fuoriclasse di arrivare all’appuntamento più atteso e di non esprimersi al meglio, di deludere un po’. E a Checco Zalone, che è e resta un fuoriclasse, è capitato ieri sera a Sanremo.
Ha cominciato proprio sottotono con una Cenerentola calabro-brasiliana stiracchiata, prevedibile e vecchiotta, quasi da far rimpiangere sullo stesso tema la Bella gioia di Cochi e Renato. Poi è andato migliorando con la parodia del rapper milanese che pur avendo sfondato e muovendosi tra corso Como e il bosco verticale non riesce a superare il trauma della sua infanzia, quando era non proprio povero ma “meno ricco”: azzeccatissimo il bersaglio della parodia, un po’ complicata la dinamica comica.
Il meglio è arrivato nell’ultima esibizione. Qui l’ironia zaloniana, in realtà sempre più pungente di quello che appare, si è concentrata su un tema più delicato, quello dei televirologi e del loro timore di prossima uscita di scena e Checco ha rispolverato il suo divertente meccanismo della parodia duplice o meglio della sovrapposizione: il virologo ha assunto le sembianze di Albano e l’esaurirsi della pandemia gli procura una “nostalgia canaglia”. Ma alla fine mi è rimasto il rammarico di non aver visto Zalone più coinvolto, meno separato dal contesto del festival, più mescolato con il resto della truppa, più impegnato al pianoforte in quelle improvvisazioni musicali di cui è maestro.
Di conseguenza, la menzione di lode che avrei giurato sarebbe toccata a Checco, per la serata di ieri va ad altri, in particolare a Mika. Quando è apparso a sorpresa a cantare in duetto il celebre I Believe in Angels degli Abba, il clima sempre un po’ troppo malinconico e lamentoso delle esibizioni e dei racconti di Laura Pausini ha assunto improvvisamente e felicemente il carattere coinvolgente ed eccitante di un musical. A cui ha contribuito anche Cattelan più divertente come bassista e suonatore di triangolo che nella spiegazione di proverbi piemontesi trasmessi dalla nonna.