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Tassonomia verde, le lobby vincono su scienza e società civile. Ora opponiamoci in Parlamento

Ecco qui. La frittata è fatta. La Commissione Europea, nella persona della sua elegante commissaria ai servizi finanziari Mairead McGuinness, che ha approfittato per fare una bella dimostrazione di come suona il gaelico in sala stampa, ha presentato ieri la proposta di atto delegato sulla Tassonomia, la classificazione di un vasto numero di attività come coerenti con gli obiettivi europei di neutralità climatica; lo ha fatto arrampicandosi su vari specchi, per giustificare l’ingiustificabile e cioè che nucleare e gas sono attività verdi comparabili a rinnovabili ed efficienza energetica.

Ovviamente non l’ha detto in modo così netto e si è molto dilungata sul fatto che la tassonomia vuole “solo” essere una guida per gli investimenti privati, nella quale è possibile distinguere fra attività di transizione e quelle che sono proprio verdi; ma poiché nella norma non c’è nessuna sfumatura di colore (ossia di categoria) diversa a seconda delle attività che vengono classificate come compatibili con gli obiettivi di sostenibilità, questa distinzione in realtà non esiste.

Certo, ogni investitore potrà scegliere se investire in prodotti finanziari che “contengono” anche gas e nucleare o no, perché c’è un obbligo di trasparenza da parte degli operatori. Ma anche questo sarà difficile da applicare e soprattutto da controllare concretamente, anche perché non pare ci saranno sanzioni.

Contrariamente a quello che aveva annunciato in precedenza, la Commissaria è anche parsa volere limitare l’importanza e l’ambizione della norma: niente più pretese di leadership globale in materia di standard di sostenibilità; e di fronte alle insistenti domande dei giornalisti/e (molti gli italiani) se questi criteri sarebbero stati utilizzati anche per definire i green bonds, per indirizzare la riforma del patto di stabilità e in particolare per decidere quali investimenti e spese pubbliche potranno essere tolti dal computo del debito, inserite fra le spese “green” nell’applicazione di Next generation EU o nella definizione del pacchetto di direttive e regolamenti del cosiddetto FitFor55% (che include rinnovabili gas ETS, efficienza energetica), la risposta è sempre stata che queste sono linee-guida per gli investimenti privati.

Ma è più che evidente che l’intera operazione di inserire gas e nucleare nella tassonomia europea ha l’obbiettivo di definire che cosa può essere incluso nel Green Deal in generale; quindi, anche se non esplicitamente detto, sembra inverosimile che la tassonomia non verrà usata anche per giustificare scelte pubbliche di sussidiare nucleare e gas.

Per settimane dopo la presentazione della prima bozza non solo un nutritissimo gruppo di ong, ma anche rilevanti esponenti del settore bancario e finanziario, governi nazionali e da ultimo la Piattaforma sulla finanza sostenibile, organo consultivo della Commissione composta da un composito gruppo di scienziati, esponenti del mondo economico e finanziario e associazioni, avevano respinto su tutta la linea la proposta della Commissione. Non è servito a nulla. Le lobby fossili, la paura di nuocere alla campagna di Macron e le spinte dei governi più ostili al Green Deal hanno reso la Commissione sorda e cieca di fronte alle argomentazioni della scienza e della società civile.

Ora vedremo se sarà possibile organizzare nel Parlamento europeo un voto contrario, unico modo per rinviare la proposta al mittente. Timmermans ha giustificato la sua rinuncia a combattere dicendo che pare che era tutto inutile. Ma la realtà potrebbe essere diversa.

E l’Italia? La posizione del governo italiano, in teoria riservata, è invece stata fatta filtrare; era molto critica sui modesti limiti posti dalla prima bozza rispetto al gas, e richiedeva addirittura un maggiore spazio di manovra. Atteggiamento questo del tutto controproducente: in Italia abbiamo poco carbone, ma dipendiamo pesantemente dal gas. Quindi la de-carbonizzazione in Italia passa attraverso una diminuzione del consumo di gas che NON è quindi un carburante di transizione, ma è quello che ci inchioda al passato.

Ma perché il governo italiano è così restio a vedere le enormi occasioni di sviluppo economico, occupazione e competitività che stanno per sfumare in una nuvola di gas? Tra le varie ragioni, a partire da una notevole invadenza dell’industria energivora, di corporazioni agricole e industriali incapaci di evolvere e dell’Eni, c’è anche il fatto che in Italia manca ancora una adeguata e sostanziosa rappresentanza politica che faccia della trasformazione verde e della transizione giusta il fulcro della sua azione. Gli ambientalisti/e esistono, si mobilitano in varie forme, fanno proposte e spesso collaborano. Lavorano a tutti i livelli, in politica come nelle associazioni, sono attori e attrici economici e sociali spesso rilevanti. Ma non hanno abbastanza peso nella stanza dei bottoni e sono divisi.

Ora però, diventa imprescindibile prendere tutta questo “verde” che c’è in Italia e trasformarlo in una proposta politica plurale, aperta, competitiva per le elezioni del 2023 a partire da una mobilitazione in grado di unire, appassionare, trovare soluzioni convincenti.

A questo obiettivo vuole contribuire l’Assemblea Ecologista che avrà luogo a Firenze il prossimo sabato dalle 10 alle 17h30. Nata da un’idea di Ecolo, una lista ambientalista toscana, subito sostenuta da analoghe iniziative a Lecco e Varese, da Green Italia, dalla componente parlamentare FacciamoEco di Rossella Muroni e Lorenzo Fioramonti, da numerose liste locali un po’ ovunque nel paese, da Rosa d’Amato e Ignazio Corrao, ex parlamentari CinqueStelle entrati nei Verdi europei, è riuscita in poco tempo a suscitare un interesse importante e rappresenterà anche una occasione di dialogo per molti degli attori/trici più rilevanti dell’ecologia politica italiana.

Ovviamente, siamo solo all’inizio. Ma tutti e tutte siamo d’accordo che non ci sarà trasformazione ecologica senza gli ecologisti/e al governo e senza un largo consenso e partecipazione dei cittadini/e.