Ho letto i “discorsi di insediamento” di Mattarella al Quirinale e di Draghi a Palazzo Chigi. Sia il Presidente della Repubblica sia il capo del governo hanno affrontato – sia pure in estrema sintesi – molti dei problemi alla cui soluzione si ripropongono di concorrere nello svolgimento dei rispettivi incarichi: lo sviluppo del Piano di Ripresa e Resilienza, la riforma della Pubblica Amministrazione, la scuola (diritto allo studio) e la cultura, il contrasto alla violenza sulle donne e la loro valorizzazione (la parità di genere), la sicurezza sul lavoro per ridurre la tragedia delle “morti bianche”, la lotta alla criminalità e alla mafia e – per finire – il Mezzogiorno (per il quale non si fa molto ma che non può mancare in nessun programma che si rispetti, come ho imparato nelle molte e diverse realtà in cui ho lavorato, dall’Iri a un paio di Ministeri economici; dopo avere scritto decine di pagine sui più svariati argomenti, c’era sempre qualcuno che chiedeva: e il Mezzogiorno?).

Quello che mi colpisce e mi addolora è che non ho trovato – né nei due discorsi cui ho fatto cenno né nei dibattiti e nelle tante proposte politiche ed economiche che hanno accompagnato la scelta del Capo dello Stato e la nascita del nuovo governo – nemmeno un accenno a quello che io considero uno dei problemi più gravi del Paese sia dal punto di vista morale sia per le sue conseguenze economiche: l’evasione fiscale.

Non è questa la sede per un discorso approfondito sul tema (di cui mi sono occupato molto in passato ma su cui non ho un quadro aggiornato, visto che le circostanze della vita mi hanno portato, ormai da molti anni, ad occuparmi di altro, e in particolare di scelte di fine vita e di eutanasia) ma penso siano significativi i dati resi noti ogni anno da centri di studi specializzati su questo tema. Li sintetizzo così.

In Italia l’evasione fiscale supera i 150 miliardi di euro l’anno, per cui siamo i primi evasori d’Europa. Per contro, i poveri sono arrivati a 15 milioni: un quarto della popolazione di uno dei principali paesi industrializzati del mondo. Solo per dare un’idea della dimensione e della gravità del problema evasione, basti un dato: recuperando i 150 miliardi di evasione, si potrebbero dare 10mila euro l’anno a ciascuno dei 15 milioni di poveri stimati dall’Inps e dall’Istat.

Di fronte a questa odiosa realtà, le forze politiche e il sindacato dovrebbero chiedere che la lotta alla evasione fiscale divenga – e non per modo di dire – una priorità assoluta nell’azione del governo. In particolare il sindacato, che rappresenta soprattutto classi di lavoratori per i quali il sistema della “ritenuta alla fonte” rende inevitabile il pagamento delle tasse, rese così elevate anche dal mancato contributo degli evasori.

Per battere l’evasione sarebbe necessario riunire in un unico testo di legge le molte e confuse norme in materia, stabilendo pene certe e severe (almeno due anni, così da evitare “la condizionale”) per i grandi evasori. Il carcere, il solo deterrente efficace contro l’evasione, è oggi un rischio praticamente nullo in Italia: nelle nostre carceri vi erano — assieme a migliaia di piccoli spacciatori — solo 156 detenuti per reati fiscali, contro gli 8.600 della Germania e i 12.000 degli Stati Uniti (sono dati di qualche anno fa, ma non credo che la realtà sia molto cambiata).

Nel maggio del 2015 il governo Renzi riuscì a far approvare una legge sulla corruzione che prevede pene fino a 15 anni. Non so dire quanto questa legge abbia avuto attuazione, ma mi chiedo perché non usare la stessa severità per il fenomeno della evasione, che “costa” allo Stato 150 miliardi contro “i soli 50” della corruzione. E penso che “le forze sane” del Paese dovrebbero unirsi per questa che mi sembra una delle principali battaglie politiche e morali dell’Italia.

Ps. Essendo da una vita un socialista/radicale, ho sempre qualche difficoltà ad invocare il carcere come soluzione dei problemi. Ma in questa materia ritengo non infondato il detto “a casi estremi, estremi rimedi”. E penso che gli evasori, soprattutto i grandi evasori, siano dei “Robin Hood alla rovescia”, che rubano ai poveri per dare ai ricchi. E forse il timore del carcere è davvero la sola pena che possa bloccare – o almeno ridurre di molto – il fenomeno della evasione. Che in alcuni paesi europei è frenata anche dalla scelta delle autorità competenti di pubblicare sui principali quotidiani i nomi dei grandi evasori assieme alla entità del loro reato e degli anni di carcere con cui il reato stesso è stato punito: una “gogna mediatica” che fa ben riflettere i contribuenti prima di sottrarsi al loro dovere di cittadini.

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