Con un numero ancora stabilmente al di sopra dei 100 mila contagi giornalieri per il mese di gennaio, il governo italiano, contrariamente agli altri stati europei che hanno incentivato anche legislativamente il lavoro da remoto, si è limitato a emanare una circolare, a firma dei ministri Renato Brunetta e Andrea Orlando, nella quale “si suggerisce ai datori di lavoro di prevedere una maggiore flessibilità nell’utilizzo del lavoro agile”. Mentre nel settore privato viene confermata la norma che prevede l’adozione delle forme semplificate di lavoro agile fino al termine della fase emergenziale, senza obbligo di stipulare accordi individuali e, soprattutto, senza alcun limite predeterminato in merito alla prevalenza del lavoro in presenza, per il lavoro pubblico viene confermato l’impianto assunto dal governo a ottobre 2021 con un massivo rientro in presenza e una serie di lacci e lacciuoli tesi a scoraggiare l’utilizzo del lavoro agile.
È ancora troppo presto per pensare che il peggio sia passato e continuare così, tra l’altro senza fornire i necessari dispositivi di protezione individuale come le mascherine ffp2 ai lavoratori è un evidente segnale di irresponsabilità. In buona sostanza cosa dice il ministro per la pubblica amministrazione con la sua circolare? “Fermo restando il principio della prevalenza del lavoro in presenza rispetto ad attività che possono essere svolte da remoto (e quindi non tutte, il che limita alla partenza la platea dei possibili fruitori), la non prevalenza della prestazione in presenza può arrivare sino al 49% della prestazione lavorativa di coloro che hanno avuto accesso al lavoro agile dopo il 15 ottobre 2021. Se la situazione sanitaria lo necessita, le amministrazioni potranno spalmare questa percentuale su più mesi, autorizzando più giornate in un mese, ma avendo l’accortezza di recuperarle poi nei mesi tranquilli”.
Insomma, un lavoro agile a recupero. “Ti permetto di fare qualche giorno in più quando la pandemia riempie gli ospedali portandoli al collasso, ma te li tolgo dopo”, perché per il ministro il lavoro agile non è un importante strumento di prevenzione della pandemia, di innovazione e modernizzazione del lavoro pubblico, ma è un privilegio, un modo per stare a casa, un premio per una platea di lavoratori che per lui sono sempre quelli che nel 2008 aveva bollato come fannulloni, infarcendo la normativa sul lavoro pubblico di decine di inaccettabili norme punitive e discriminatorie.
Ammesso e non concesso che la maggiore flessibilità sia la strada per fronteggiare questa nuova ondata della pandemia, un ulteriore ostacolo si frappone all’adozione di misure veloci da parte delle amministrazioni. Il voler insistere sulla necessità dell’accordo individuale, rigidamente regolamentato e oggi centellinato, porterà alla necessità di adeguare, volta per volta al variare dei giorni autorizzati di lavoro agile, tutti gli accordi a oggi in essere, nonché alla stipula di nuovi per tutti quei soggetti che sono stati oggi esclusi dal lavoro agile dalle amministrazioni in ossequio al totem della “prevalenza del lavoro in presenza”.
Insomma, tutto il contrario di quella che dovrebbe essere una misura immediata, da adottare con urgenza e speditezza. Un ulteriore aggravio di quel groviglio di burocrazia, di adempimenti, di controlli formali che nulla hanno a che vedere con la tutela dei lavoratori, ma che rispondono alla logica del pregiudizio di chi pensa solo ossessivamente a controllare i “nullafacenti”. È indubbio che tale istituto andasse regolamentato comunque in modo ancora più preciso e che i contratti nazionali di lavoro debbano definire una cornice condivisa che possa definire meglio tutte le articolazioni del lavoro agile e del lavoro da remoto. Su questo ci siamo da subito battuti come Federazione Lavoratori Pubblici e Funzioni Pubbliche in tutte le sedi, riuscendo a definire nell’ipotesi di Ccnl delle Funzioni Centrali (sottoscritto nei giorni scorsi) un quadro di riferimento certamente migliore di quello ipotizzato da Brunetta nelle sue linee guida.
Riteniamo che, in una fase che continua a essere fortemente emergenziale, vadano mantenute tutte le previsioni che garantiscono la gestione condivisa del rapporto di lavoro come determinatesi per effetto degli accordi e dell’ipotesi di Ccnl, ma vengano superate quelle che non discendono né dalla legge, né tantomeno dai contratti, come quella della prevalenza del lavoro in presenza, frutto del decreto ministeriale dell’8 ottobre 2021. È necessario, come per il settore privato, che si possa derogare in tutta la fase emergenziale all’obbligo dell’accordo individuale, mantenendo tutte le norme legislative e pattizie che regolano l’istituto a monte, perfettamente applicabili ai singoli rapporti di lavoro.
In questi primi giorni dell’anno vi è stato un aumento generalizzato delle didattiche a distanza (Dad) oltre alla chiusura di gran parte degli uffici pubblici per contagi e sanificazioni con la ovvia riduzione di servizi ai cittadini che potrebbero regolarmente essere erogati da remoto. Appare pertanto necessario non solo mantenere le precauzioni nei luoghi di lavoro con la fornitura dei dispositivi di protezione individuale previsti, e ricordiamolo ancora una volta mai forniti, ma attuare misure che, unitamente alla limitazione del rischio derivante dall’affollamento degli Uffici e dall’utilizzo massivo dei mezzi pubblici, garantiscano forme di lavoro agile diffuse che possano permettere la gestione, anche familiare, di situazioni legate all’accudimento dei figli minori.
Non possiamo certamente assistere inerti a un aggravamento della situazione sanitaria per inaccettabili pregiudizi che mettono a rischio la salute e la sicurezza di tutti.