Non è il più giovane in gara al Festival di Sanremo ma poco ci manca. Sulla carta d’identità, solo Blanco e Sangiovanni sono più “piccoli” di lui. Matteo Romano è nato nel 2002 a Cuneo, e a 19 anni è pronto a salire sul palco del teatro Ariston per gareggiare contro i big della musica. Ci arriva con un singolo certificato doppio platino, “Concedimi”, e la vittoria del circuito Giovani del Festival.
Quella di Matteo sembra una favola a lieto fine. Tutto è cominciato quasi per gioco, grazie a TikTok. Siamo durante il lockdown quando sul suo profilo carica un ritornello finora inedito. “Ma concedimi un ultimo ballo, un’ultima ora…”, canta in quei pochi secondi, ed è subito un successo. Quel ritornello sin da subito è stato rilanciato da tutti i creator più famosi della piattaforma. Non passeranno troppi mesi affinché venga notato da Universal, che lo mette subito sotto contratto e gli permette di pubblicare “Concedimi”, la prima canzone della sua carriera musicale di Matteo Romano. Oggi quel brano conta oltre 35 milioni di stream, ed è arrivato ai vertici delle classifiche di Spotify più importanti. Da lì sono seguiti altri due singoli, “La Casa di Specchi” e “Testa o croce”, ovvero i brani che compongono la sua discografia, ancora tutta da riempire.
Ma chi è Matteo Romano? È un giovane cantautore che ha sempre rifiutato i talent show (“Non credo sia il contesto giusto per me”, sostiene). Parallelamente alla strada della musica, studia comunicazione e marketing a Milano dopo un diploma al liceo classico. C’è una particolarità su di lui: ha due fratelli gemelli. Se i suoi due fratelli sono omozigoti, lui non somiglia a Jacopo e Simone perché è il fratello eterozigote del terzetto. A proposito di famiglia, sono stati i genitori a trasmettergli la passione per la musica: il padre lo ha fatto affezione al cantautorato alla De Andrè, mentre la madre gli faceva ascoltare i Red Hot Chili Peppers. Arriva a Sanremo con una canzone, “Virale”, che racconta il suo primo grande amore: “Racconta un amore totalizzante che sto vivendo e che prende tutto me stesso, fino ad entrare fisso in testa”.