I Calibro 35 con i loro wurlitzer e chitarrine funk sembrano precipitati dal pianeta dei ricordi cinematografici anni Settanta: un piede nella rievocazione alla Tarantino, quell’altro in un acid jazz dove James Taylor Quartet fanno un frontale con la sezione fiati dei Blues Brothers
In principio furono Ennio Morricone, Armando Trovajoli e Luis Bacalov. Poi subito dopo la “musica suonata” (questa la capiranno in pochi) dal groove vintage più sborone dell’universo. I Calibro 35 con i loro wurlitzer e chitarrine funk sembrano precipitati dal pianeta dei ricordi cinematografici anni Settanta: un piede nella rievocazione alla Tarantino, quell’altro in un acid jazz dove James Taylor Quartet fanno un frontale con la sezione fiati dei Blues Brothers. Il primo album, omonimo, con quella copertina da poliziottesco italiano d’epoca è un brivido per tanti anta, ma anche un risucchio vorticoso per le generazioni Z e Alfa che guardano con stupore ingenuo alla finestra delle band che vivono di esecuzioni strumentali.
Già, perché i Calibro 35 di “voce” non ne hanno una in particolare. Loro, milanesi imolesi genovesi, sono un coro. Una pozione magica di corde, ottoni, ebano, avorio, stagno e pelli che riproduce come un vulcano magmatico di note aggrovigliate il suono che fu. Quindi va bene l’idea di arrangiare e far guizzare nuovamente colonne sonore di film anni settanta di genere, ma riportare quel suono, quell’intensità, quella furente irrequietezza anche in brani scritti e prodotti in proprio (l’album Traditori di tutti è del 2013) è roba per pochi eletti. Una loro playlist – ricordiamo la formazione: Gabrielli, Cavina, Martellotta, Rondanini e ovviamente il deus ex machina Tommaso Colliva – è ostica da creare perché i Calibro 35 sono una monade musicale che non si può spezzare in frammenti. A Sanremo duettano con Rkomi in un medley dei brani di Vasco Rossi. Insomma, per una sera anche gli accordi dei brani di Vasco saranno ascoltabili. Scherziamo. Su Vasco. Sui Calibro mai.