Cinquanta candeline davanti…o forse no. Già, perché il “ti ricordi” di oggi di certezze ne offre davvero poche, a partire da quelle anagrafiche. Certo il nome, Mingyu, e anche il cognome, Ma: in cinese pare voglia dire ‘cavallo‘, il che avrà un’economia importante nella storia del primo calciatore cinese che ha giocato in Serie A.
È l’estate 2000, nel calcio italiano storie come quella del Perugia di Gaucci possono esistere ancora. Pittoresco, il patron degli umbri, ma tutt’altro che sprovveduto: comprende, il buon Luciano, che il marketing è importante e che allargare il bacino d’utenza oltre quello tradizionale può solo portare utili. L’operazione Hidetoshi Nakata, da questo punto di vista, è un capolavoro: non solo per l’attenzione che arriva dal Giappone, ma anche perché il calciatore è un campione. Perché non bissare guardando alla Cina, dunque? “Sono un miliardo, ci sarà pure un fenomeno” è il ragionamento in casa Gaucci.
Equivale un po’ a fare un numero di telefono a caso beccando proprio quello di Belen Rodriguez, ma almeno l’effetto marketing ci sta: il Perugia comincia a produrre divise anche coi caratteri cinesi e agli italiani a Pechino i residenti dicono “Perugia! Ma!”. “Ma”, però con l’aggiunta della ‘H’, lo dicono pure quelli che vedono il calciatore appena arrivato in Italia: avrebbe 28 anni da carta d’identità, in Cina giurano ne abbia almeno 32, la faccia dice che si può ancora aggiungere qualcosa, volendo. Ma è gentile, colto, nella presentazione parla di arte dicendo che se Del Piero è chiamato Pinturicchio lui si conquisterà il nome di Michelangelo e si mostra incredulo nello scoprire che qualche comunista in Italia, e anche lì a Perugia, nel 2000 c’è. Ci crede la società, invece: non nei comunisti, ma nel calciatore… o almeno così pare.
Così pare. Sì perché sembrerebbe addirittura che il buon Luciano un giocatore cinese lo volesse, ma non Ma Mingyu, bensì Li Tie, centrocampista che di lì a poco sarebbe passato all’Everton (anche lui senza stupire granché). Si dirà invece che ha influito il significato del cognome, ‘cavallo’, per un presidente che i cavalli li adora.
La maglia numero 9 del Perugia, così, va a Ma. Maglia che però viene utilizzata solo per pochi minuti in Coppa Italia, a dir la verità. In campionato mai. Serse Cosmi non lo manda neppure in panchina, nonostante nelle dichiarazioni giuri che il calciatore male non sia. Non va in campo, ma finisce sugli spalti, protagonista di uno striscione sugli acquisti del Perugia assieme a un altro compagno, il coreano Ahn: “Ahn, Ma…Bo?”, scriveranno per esprimere perplessità i tifosi.
E dopo mesi ai margini, senza aver mai instaurato un rapporto coi compagni anche in virtù delle difficoltà con l’italiano, Ma torna in Cina, al Sichuan (che nel frattempo ha cambiato nome). Che non sia male lo mostra in campo, anche in Italia, con un grandissimo gol alla Lazio all’Olimpico, un sinistro al volo da fuori area che si infila nel sette, in un’amichevole che vede i biancocelesti opposti alla Nazionale cinese, e poi portando la sua nazionale ai Mondiali del 2002, diventando il primo calciatore cinese a tirare in porta in un mondiale, contro il Brasile di Ronaldo, mostrandosi non certo un fuoriclasse, ma neppure un fenomeno indecoroso. Oggi allena bambini, ottiene qualche successo come direttore sportivo e, almeno in base all’anagrafe, compie 50 anni. Forse. E forse sul miliardo e oltre di cittadini cinesi un fenomeno del calcio ci sarà, la certezza è che non era Ma Mingyu.