E' direttore tecnico del suono di un big della musica italiana: Massimo Ranieri. Ma è anche un veterano nel dirigere l’Orchestra della kermesse. Genovese, premiato nel 2020 da Regione Liguria per le sue trenta edizioni del Festival, conosce tutti i segreti del dietro le quinte. “Sanremo è un banco di prova tra i più estenuanti per un direttore - dice - Certo non si dirige la Nona Sinfonia di Beethoven ma proprio perché il pop va ben arrangiato e orchestrato, con tempi di prova rapidissimi, se non si è esperti e veloci nel trovare soluzioni i musicisti ti snobbano e vanno per conto loro"
Sorpresa. Al terzo scrutinio per il Presidente della Repubblica ha preso un voto dai grandi elettori. Massimo Morini ci scherza su: “È stato un testa a testa ma poi ha vinto Mattarella”. Ammette: Non ho ancora capito chi mi abbia votato.” Al Festival di Sanremo 2022 Morini è direttore tecnico del suono di un big della musica italiana: Massimo Ranieri. Ma è anche un veterano nel dirigere l’Orchestra della kermesse. Genovese, premiato nel 2020 da Regione Liguria per le sue trenta edizioni del Festival, conosce tutti i segreti del dietro le quinte. “Sanremo è un banco di prova tra i più estenuanti per un direttore – dice – Certo non si dirige la Nona Sinfonia di Beethoven ma proprio perché il pop va ben arrangiato e orchestrato, con tempi di prova rapidissimi, se non si è esperti e veloci nel trovare soluzioni i musicisti ti snobbano e vanno per conto loro”.
Lei è mai stato snobbato?
Fortunatamente no. Ho cominciato nel 1991, ero molto giovane. In 32 edizioni ho alternato il ruolo di direttore d’orchestra con quello di tecnico del suono. Ma ero preparato, diplomato al Conservatorio. L’orchestra snobba solo chi si improvvisa direttore, chi non sa dare i tempi ai musicisti.
Un po’ cattivi questi professori d’orchestra…
Il punto è che non c’è tempo sufficiente per provare decine di brani come si dovrebbe. Perciò il direttore proposto dal cantante o dal gruppo deve essere un professionista. Altrimenti è la rivolta.
Come si diventa direttori d’orchestra del Festival di Sanremo?
Non esiste un percorso specifico. Non è necessario essere diplomati in direzione d’orchestra. A Sanremo, dal ’91 a oggi, ho lavorato con moltissimi artisti: Luca Barbarossa, , Marco Masini, Roberto Vecchioni, Emma, Diodato, Hermal Meta, Alexia, Povia, Piero Pelù, Gianni Morandi, Loredana Bertè, Massimo Ranieri e molti altri. Alcuni li seguo anche nei tour. Sono le case discografiche e gli stessi artisti a chiamarmi. Il direttore è una specie di coach dell’orchestra.
Cosa è cambiato dal ‘91 a oggi?
L’utilizzo della tecnologia e dell’elettronica. Gli strumenti reali rimangono protagonisti ma gli arrangiamenti sono conformi alla musica che si fa in studio.
Aneddoti?
La prima partecipazione dei Negramaro, nel 2005. Tutti gli orchestrali in cuffia hanno il metronomo, salvo in rari casi. All’improvviso il metronomo salta. Ebbene, l’esecuzione prosegue senza il computer e tutto va per gli affari suoi. Un altro episodio è quello con Loredana Bertè. Decide di cambiare microfono scambiandolo con quello di sua sorella Mia Martini, forse per dispetto. Avevo 24 anni e non esistevano ancora i mixer digitali. Mi trovo a dover regolare il tutto in tempo reale. A memoria.
Come si conquista la fiducia dell’orchestra?
Con la preparazione. Se non sei un topo da studio di registrazione è impossibile lavorare a Sanremo. Se superi la prova, davvero puoi dirigere qualsiasi orchestra ritmico sinfonica. Il debuttante viene massacrato dagli orchestrali, se non è in grado. “Torna al leggio”, gli dicono. Non lo seguono più e fanno tutto loro. Da soli.
Quest’anno come va?
La storia si ripete. Alcuni direttori sono bravissimi, altri no. Per fortuna il livello di professionalità degli orchestrali è sempre così alto che sono loro stessi a porre rimedio.
E le donne?
Otto in tutto nella storia del Festival. Di cui sette davvero ben preparate. Tutte hanno portato a casa vittorie. Credo nella superiorità delle donne.