Se qualcuno ha ancora dei dubbi su cosa significhi una televisione popolare, non nel senso spregiativo di banale, ma nel senso nobile di mettere a disposizione di tutti contenuti e forme interessanti e importanti, ieri sera ha avuto occasione di fare un bel ripasso. Ci aveva provato molti anni fa Fabio Fazio seduto sulla famosa scalinata dell’Ariston con un bel discorso in apertura di una delle sue edizioni del festival. Ieri ne abbiamo avuto un esempio concreto. Ce lo ha dato Jovanotti nella sua seconda comparsa.
Approfittando del tempo concesso ad Amadeus per consentirgli di esprimere la sua nuova vocazione artistica, la pittura, e del clima tanto naif quanto affettuoso che si è venuto a creare, ha recitato una poesia di Mariangela Gualtieri. Alzi la mano chi conosceva Mariangela Gualtieri tra i tanti che disprezzano il festival per la sua pochezza cultuale. Poi senza alcuno strappo, quasi in continuità poetica ha intonato “Paese mio che stai sulla collina…” cioè Che sarà, che non è l’opera di un’importante letterata ma una canzonetta dei Ricchi e poveri, massimi esponenti della cultura pop. Eppure in quel contesto non c’era nessun contrasto, nessuno stridore tra alto e basso tra un prodotto colto e uno di tutt’altra natura. Questa è la televisione popolare, la buona televisione.
Ma dal meglio al peggio della serata c’erano di mezzo solo pochi minuti e un braccio di mare, quello che divide Sanremo dalla Costa Toscana ormeggiata lì davanti. Ora, è risaputo e non fa una piega il fatto che il festival con i suoi notevoli costi abbia bisogno non solo degli spot ma anche di ricchi sponsor, in modo che nessuno protesti perché a pagare il tutto sono i cittadini con il canone. Quindi benissimo la Costa con la sua immagine luminosa nella notte, ma a un paio di domande non riesco a darmi risposta.
Perché a bordo tra il bar, la piscina e il teatro, il clima è così dimesso, un po’ da crociera fuori stagione? E perché una signora di una certa età, ancora in grado di cantare bene, come ha rivelato lo scorso anno, autrice di un libro autobiografico tutt’altro che banale, deve indossare mise così improbabili da apparire ridicole?