Cultura

Da Roma a Matera, da Palazzo Pitti a Teglio: così le opere tornano a casa (per un po’). Da Tiziano al Pesarese, gli artisti “in viaggio”

Va verso la conclusione la prima fase del progetto del ministero che prevede che i capolavori ritrovino visibilità nei territori per i quali erano stati concepiti. Ecco una breve lista dei dipinti e dove trovarli

di Marco Ferri

Da Salvator Rosa a Tiziano, le opere d’arte tornano a casa. La prima fase del progetto del ministero della Cultura, avviata a dicembre, sta per concludersi. L’ultimo “ritorno”, in ordine di tempo, è quello del 4 febbraio scorso: L’allegoria di Trieste e dell’Istria di Annibale Strata, una tela ottocentesca di dimensioni notevoli, che dai Musei Reali di Torino, dove normalmente è conservato, rimarrà per un certo periodo al Castello di Miramare di Trieste. E’ una delle cento opere custodite nei depositi di 14 tra i musei più importanti d’Italia – dalle Gallerie Nazionali Barberini Corsini agli Uffizi di Firenze, dal Museo di Capodimonte al Museo di Brera, dalla Galleria Borghese al Museo Archeologico di Ferrara, dal Museo Archeologico di Napoli al Museo di Matera – che ritroveranno visibilità nei territori di provenienza per le quali erano state concepite. Il progetto, voluto dal ministro Dario Franceschini, intende promuovere e valorizzare il patrimonio storico artistico e archeologico italiano conservato nei depositi dei luoghi d’arte statali; l’impresa ha preso il via dalla selezione delle opere che ha dato vita a una banca dati di quasi 3700 opere provenienti dai depositi di quasi 100 musei. Dar vita al progetto, quindi, pareva cosa facile, ma ha dovuto fare i conti con una serie di ostacoli dovuti in larga parte all’emergenza sanitaria.

La prima fase ha coinvolto 36 opere d’arte. Tra i “ritorni” eccellenti possiamo citare il cospicuo gruppo di opere (di Federico Barocci, Pomarancio e Pesarese) che dalla Pinacoteca di Brera (a Milano) è ora visibile alla Galleria Nazionale delle Marche (a Urbino); c’è il Ritratto a figura intera di Carlo V, opera di Tiziano, che ha lasciato la Galleria Palatina di Palazzo Pitti, a Firenze, per mostrarsi nell’arco di un anno a Palazzo Besta di Teglio, in provincia di Sondrio; c’è la coppia di dipinti su tela pieni di poesia di Salvator Rosa (Paesaggio con figure e Giocatori di carte) che dalle Gallerie Nazionali d’arte antica di Roma ora si ammirano al Museo Nazionale di Matera; c’è il suggestivo gruppo scultoreo con Il gladiatore che uccide un leone che ha lasciato il Parco archeologico di Ostia antica per tornare a Villa Giustiniani di Bassano Romano, in provincia di Viterbo.

Sempre in tema archeologico, vi è la Testata di trave bronzea proveniente dagli arredi delle navi di Caligola (37-41 d.C.) che, dopo essere uscita dal Museo Nazionale Romano ora la si può vedere al Museo delle navi romane di Nemi (sempre in provincia di Roma); e poi la Cista prenestina (un’antica cesta etrusca decorata, con incisioni e bronzetti sul coperchio) che dal Museo archeologico nazionale di Napoli ora è in prestito al Museo archeologico di Palestrina (Roma).

Di sicuro interesse sarà l’esposizione di alcune opere a Ravenna e a Ferrara: nella città romagnola dopo 200 anni è tornato, proveniente da Brera, il San Giovanni di Nicolò Rondinelli, mentre a Ferrara è arrivato un gruppo di dipinti di Benvenuto Tisi, detto il Garofalo: una Crocifissione è arrivata da Brera e tre opere dalla Galleria Borghese di Roma. Questi quattro dipinti presto saranno collocati nel Palazzo di Ludovico il Moro, sede del Museo archeologico nazionale di Ferrara, in una sala vuota al piano terra che presenta la volta affrescata proprio da Garofalo. Ciò avverrà presumibilmente entro la fine di marzo, quando termineranno i lavori di restauro in questi ambienti.

Un ultimo dato riguarda la spesa. Per questa prima fase dell’operazione pare che lo Stato abbia stanziato circa un milione di euro, che non serve solo alla fase logistica dello spostamento delle opere, ma anche all’allestimento delle nuove location delle opere che, proprio come a Ferrara, hanno sottinteso anche interventi di restauro che tuttavia rimarranno, anche quando l’opera in prestito sarà tornata “alla base”. In pratica si tratta di un investimento che non priva i musei italiani dei pezzi esposti nelle sale o nei corridoi, ma “sfrutta” l’immenso patrimonio culturale “invisibile”, ma necessario, cioè quello custodito nei depositi che, non ci stancheremo mai di ricordarlo, sono luoghi protetti, controllati climaticamente, puliti, ordinati, ovvero gli spazi che le opere d’arte sceglierebbero per la loro esistenza, se solo potessero farlo.

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