Società

A trent’anni dalla morte, padre David Turoldo dev’essere riconosciuto Giusto tra le nazioni

Domenica 6 febbraio si sono celebrati i trent’anni della morte di uno dei più grandi uomini della Chiesa e del nostro Paese: il poeta, il filosofo, lo scrittore, il frate e sacerdote David Maria Turoldo. Purtroppo non si sono viste pagine di quotidiani o trasmissioni televisive dedicate al ricordo di quest’uomo, che ha segnato la vita delle nostre comunità ecclesiastiche ma anche quella di chi non ne è parte.

Personalmente, credo di essere ateo, ma le parole e la vita di questo frate dell’Ordine dei Servi di Maria hanno da sempre accompagnato la mia esistenza e so che guidano quelle di molti altri laici che non frequentano la Messa domenicale. Purtroppo non ho avuto il dono di conoscere Turoldo di persona ma solo attraverso il racconto di altri e i suoi tanti libri pubblicati. Uno dei primi testi con i quali ho fatto “amicizia” con il poeta friulano è stato “Amare” e subito dopo “Il mistero del tempo”.

In quest’ultima opera, edita post mortem, a scrivere la prefazione è un altro grande uomo, Tonino Bello, il vescovo che si faceva chiamare don e apriva il suo palazzo a senza casa e prostitute. Il prete pugliese narra meglio di ogni altro l’amico: “Quando si trovava a parlare tra amici ti incantava con irresistibile fascino dialettico. Di fronte a folle di giovani mandava all’aria gli schemi per seguire l’istinto creatore. Non riusciva a controllare il tumulto della fantasia e la lasciava traboccare sui versanti della tenerezza e della protesta”. Ecco padre David Maria Turoldo: non un’immaginetta di santo ma un uomo che ricerca tanto da valergli il titolo di “coscienza inquieta della Chiesa”.

E’ la vita di questo prete a parlare: a seguito di prese di posizione assunte da politici locali e da alcune autorità ecclesiastiche, nel 1953 dovette lasciare Milano e soggiornare in conventi dei Servi dell’Austria e della Baviera. Nel 1995 tornò a Firenze dove si ritrovò accanto a padre Ernesto Balducci, al sindaco Giorgio La Pira ma anche da lì fu costretto a fuggire. Il suo è stato il pellegrinaggio di un uomo scomodo, un percorso che oggi provoca alcuni interrogativi: dove sono finite le coscienze inquete della Chiesa? Sono state messe a tacere?

Padre Turoldo aveva un’altra caratteristica: sapeva e sa (attraverso i suoi scritti) parlare a tutti di Dio, anche a chi come me crede di essere ateo. Basti rileggere, tra le tante sue parole, quelle scritte in memoria di padre Massimiliano Kolbe: “…poi c’è la grazia dell’amicizia, il dono – o il dramma – dell’amicizia. La sofferenza, la croce, la ricerca, il bisogno biologico dell’amicizia. Non c’è nulla di più distruggente del tradimento dell’amicizia”.

Ma c’è di più. Qualche mese fa, in una libreria di Tirano, paese natale di Camillo de Piaz, confratello del monaco friulano, ho trovato un libro che mi ha permesso di scoprire un’altra faccia della vita di quest’uomo: “David Maria Turoldo, il resistente”. Il servo di Maria è stato un partigiano. Ha fatto la Resistenza a Milano ed era in contatto con i compagni di Brescia. Turoldo e De Piaz avevano avuto l’incarico di assistere le famiglie dei perseguitati politici o di quelli alla macchia che il Cln segnalava loro. Nel loro convento di San Carlo si tenevano le riunione segrete e lì avevano nascosto ebrei, ex militari, partigiani, ex prigionieri, antifascisti.

A trent’anni dalla morte di Turoldo è arrivata l’ora di riconoscere quest’uomo: a lui andrebbe riconosciuto il titolo di “Giusto tra le nazioni”. A Turoldo andrebbe intitolata una strada in ogni paese, in ogni città. A questo resistente andrebbe dedicata una pagina dei libri di storia che i nostri ragazzi studiano a scuola.