La scelta della Chiesa tedesca di superare il celibato obbligatorio piomba su Francesco, il cui pontificato sta entrando lentamente nella fase finale. Il “cammino sinodale”, condotto in Germania congiuntamente dai vescovi e dal laicato cattolico organizzato, si muove gradualmente ma con nettezza. E quando verrà il momento decisivo sarà inevitabile che esplodano tensioni, perché il celibato (benché largamente disatteso) è il feticcio degli ultraconservatori.

In questi giorni è stata approvata dai delegati sinodali, riuniti a Francoforte, una risoluzione per la redazione di un documento a favore del celibato facoltativo e quindi dell’ordinazione di uomini coniugati, inclusa l’autorizzazione agli attuali sacerdoti di prendere regolarmente moglie. La risoluzione è passata con l’86 per cento dei voti.
Contemporaneamente un altro voto ha sancito la non esclusione delle donne dai ministeri ordinati, cioè il loro accesso al diaconato e al sacerdozio.

I documenti veri e propri saranno presentati per il voto finale nella sessione sinodale di autunno e, diplomaticamente, chiederanno al pontefice di prendere le decisioni in proposito o che altrimenti siano sottoposte ad un concilio.

Recentemente l’ex presidente della conferenza episcopale tedesca, cardinale Reinhard Marx, aveva già preso autorevolmente posizione: “Alcuni preti starebbero meglio se fossero sposati. Non solo per motivi sessuali, ma perché sarebbe meglio per le loro vite”. Lo steso presidente attuale, vescovo Georg Baetzing, ha dichiarato di non vedere una contrapposizione tra servizio sacerdotale e stato matrimoniale, che al contrario potrebbero arricchirsi vicendevolmente. I preti dovrebbero essere “liberi di scegliere”.
Fu Paolo VI a riservare a sé la questione del celibato, togliendo al concilio Vaticano II la possibilità di discutere dell’eventuale ordinazione sacerdotale di cosiddetti “viri probati”, cioè uomini coniugati di provata moralità.

I suoi successori – da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI – non hanno mai riaperto la questione benché papa Ratzinger avesse permesso ai preti anglicani, passati al cattolicesimo, di restare coniugati. D’altronde nella Chiesa cattolica esiste da secoli un clero sposato di rito orientale.

Giovanni Paolo II, da parte sua, si è ripetutamente e categoricamente espresso contro ogni ipotesi di sacerdozio femminile. In una dichiarazione del novembre 1995 il cardinale Joseph Ratzinger, nella sua qualità di prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, ribadì che il veto di Giovanni Paolo II è una “dottrina proposta infallibilmente dal magistero ordinario e universale”, poiché Gesù aveva chiamato “soltanto uomini e non donne al ministero ordinato e gli apostoli hanno fatto lo stesso”.

Nel 2018, regnante papa Francesco, il cardinale Luis Ladaria, prefetto attuale della Congregazione per la Dottrina della fede, ha confermato in un articolo sull’Osservatore Romano che il “no” di papa Wojtyla è da considerarsi definitivo.

Ma l’orologio della storia non si ferma. E’ evidente che l’esclusione della donna dal ruolo sacerdotale, basata sulla tradizione del sacerdozio ebraico e della cultura veterotestamentaria in violenta contrapposizione al sacerdozio femminile delle altre religioni orientali, è frutto di un dogma culturale. L’idea che solo il maschio sia degno di essere mediatore tra i fedeli e la divinità nasce e muore con l’esaltazione del patriarcato. Non soltanto le chiese cristiane riformate a partire dal secolo scorso hanno aperto la strada al sacerdozio e all’episcopato femminile – la Chiesa luterana d’America ha nominato nel settembre scorso a San Francisco il primo vescovo transgender, reverendo Megan Rohrer – ma anche le correnti innovatrici dell’ebraismo e dell’islam hanno ormai portato alla ribalta donne come rabbine e imam.

La Chiesa cattolica non potrà barricarsi per sempre. Francesco, all’inizio del pontificato, aveva tentato di aprire la strada al diaconato femminile, istituendo una commissione di studio che però si è arenata perché spaccata irrimediabilmente tra aperturisti e conservatori. Una seconda commissione non ha finora prodotto nulla che sia stato pubblicato.

Il tema del celibato facoltativo del clero è tuttavia più pericoloso per la stabilità del pontificato. Perché la spinta tedesca rischia a fine anno di mettere in moto dinamiche imitative in altre zone dell’Occidente. Il “No perché no” sta diventando sempre più insostenibile a fronte della carenza catastrofale di preti, che non riescono a “coprire” le parrocchie. Ad Amburgo, nella più grande diocesi di Germania (32.520 chilometri quadrati) , il vescovo Stefan Hesse rileva che non esiste un solo candidato al sacerdozio.

Francesco, lucidamente, aveva tentato di governare il cambiamento autorizzando (e sostanzialmente incoraggiando) il Sinodo dei vescovi dell’Amazzonia ad affrontare il problema del clero sposato. I vescovi amazzonici nell’ottobre del 2019 avevano votato, a maggioranza di due terzi, un documento finale in cui chiedono al Papa che in casi eccezionali siano ordinati sacerdoti anche diaconi sposati.

La violenta opposizione del fronte conservatore, rafforzato da un libro scritto a due mani dall’ex papa Ratzinger e dal cardinale di curia Robert Sarah in cui si negava appassionatamente ogni legittimità all’introduzione di un clero latino sposato, ha bloccato nel 2020 papa Francesco. Che non ha sconfessato il sinodo amazzonico, lasciando anzi sul tavolo le sue risoluzioni finali, ma non ha fatto nemmeno un passo per realizzarle. Sentendosi messo con le spalle al muro. E temendo una spaccatura planetaria nella Chiesa.

Le tensioni – sembra ormai inevitabile – torneranno. Resta da vedere quanto la mossa in avanti del cattolicesimo tedesco riuscirà ad animare il dibattito del sinodo mondiale 2021-2023, indetto da Francesco per discutere della Chiesa del XXI secolo: della sua struttura come “comunità”, della partecipazione di tutti fedeli – uomini e donne – e della sua missione.

Non c’è dubbio che l’esito influenzerà anche le candidature al successivo pontificato.

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