Il 7 febbraio 2020 Patrick Zaki era atteso agli arrivi dell’aeroporto del Cairo, proveniente da Bologna, la città dov’era andato a studiare e dalla quale si era preso una piccola pausa per trascorrere qualche giorno con la famiglia in Egitto. I suoi familiari non lo videro mai uscire da quello scalo. Patrick riapparve solo il giorno dopo, al termine di molte ore di sparizione forzata e torture, nella città natale di Mansura.
Lì cominciò – segnata sin da subito da irregolarità procedurali immediatamente documentate da questo portale – la sua odissea giudiziaria.
Un’odissea fatta di 22 mesi di carcere duro, inframezzati da frettolose e sommarie udienze di convalida della detenzione preventiva; poi, di un rinvio a processo per il “reato” di diffusione di notizie false, consistente nell’aver scritto il vero sulla discriminazione subita in Egitto dalla minoranza cristiana copta.
Dal 7 dicembre 2021, al termine della terza udienza, Patrick è in libertà provvisoria. Ma come allora, anche il 1° febbraio, in occasione della quarta udienza, il giudice ha voluto punire con un rinvio spropositato (due mesi e sei giorni) le eccezioni di procedura sollevate dalla difesa dell’imputato.
Dunque, tra Patrick e Bologna – la città dove vuole tornare per terminare il Master in studi di genere dell’Alma Mater cui si era iscritto nel 2019 – continuano a frapporsi ostacoli.
Ma l’ottimismo non muore mai. Il 6 aprile potrebbe essere la volta buona perché Patrick riacquisti in modo permanente la libertà persa il 7 febbraio di due anni fa, nella sala arrivi dell’aeroporto del Cairo.