di Claudio Amicantonio
L’intervento del pontefice in una nota trasmissione televisiva nazionale di infotainment non è affatto passato inosservato, sollevando non poche polemiche sia tra gli addetti ai lavori sia nel grande pubblico. Tuttavia, se ci si limita a una polemica su una mera questione di forma o addirittura di costume tra tradizionalisti e progressisti, il vero problema non è stato nemmeno sfiorato. In altre parole, se s’inquadra la questione nei meri termini di fedeltà o meno al grande passato della tradizione cattolica, non si può non rimanere invischiati in un dibattito senza fine, in cui le due posizioni si annullano vicendevolmente.
Si tratta, invece, di inquadrare l’evento all’interno delle più ampia questione del rapporto tra cattolicesimo e tecnica, tenendo a mente che la “prima volta” della presenza di un Pontefice in qualità di ospite in una trasmissione televisiva è l’ultimo capitolo di un lungo processo storico in cui il cattolicesimo ha progressivamente fatto proprie le diverse innovazioni messe a disposizione dalla tecnica. È appena il caso di ricordare la lontana invenzione della stampa, la più recente radio vaticana, il ricchissimo sito internet www.vatican.va e la recentissima presenza diretta del pontefice sui vari social.
In questo senso nulla di nuovo sotto il sole, tanto più che l’attuale pontefice non ha mai lesinato incursioni mediatiche sin dall’inizio del suo pontificato. Il cuore del problema sta tutto nel ritenere la tecnica un semplice mezzo neutrale, privo di scopo, da cui segue che il giudizio positivo o negativo dipende tutto dall’utilizzo che se ne fa. Nel caso specifico, i mezzi di comunicazione di massa vengono fatalmente considerati dei meri contenitori originariamente vuoti. Se il contenuto con il quale li si riempie è “buono” essi sono stati utilizzati “bene”, se il contenuto è contrario al bene il loro utilizzo è sbagliato.
Il primo enorme scoglio contro cui va a infrangersi la prospettiva che ingenuamente insiste sulla neutralità della tecnica è proprio la questione del “bene”. Quale bene? Per il capitalismo è bene l’aumento indefinito del profitto individuale, per la democrazia è bene la libertà individuale e il rispetto delle procedure decisionali, per l’Islamismo è bene la realizzazione di una società islamica teocratica, per il cristianesimo il bene è tutto in quel “quaerite primum regnum Dei” che è in totale contrasto con le prospettive precedenti, a loro volta tutte in contrasto fra loro.
Nel caso specifico, l’intervento del pontefice è giudicato un bene dai cattolici, poiché esso contribuisce a diffondere il messaggio cristiano, ma è giudicato un bene anche da coloro che, grazie alla pubblicità trasmessa, sono in grado di aumentare notevolmente i propri profitti individuali. A loro volta coloro che ritengono che il bene supremo sia la libertà giudicano un bene l’intervento del pontefice, basandosi sull’inevitabile fatto che esso è preceduto e seguito da interventi che diffondono un’idea di bene completamente diversa, presumibilmente un po’ di relativismo popolare alla Littizzetto e un po’ di bieco scientismo alla Burioni, celebrando l’impossibilità di una delle prospettive di porsi al di sopra delle altre.
Tuttavia, l’errore fatale commesso dal cattolicesimo – così come dal capitalismo, dalla democrazia, etc. – è credere nella neutralità etica della tecnica, che non avrebbe dunque una propria idea del bene. Al contrario, la tecnica ha il proprio scopo nell’incremento indefinito della capacità di realizzare scopi. Detto più semplicemente, la tecnica ha come scopo rendere reale tutto ciò che è attualmente solo possibile, oltrepassando i limiti teorici e pratici che lo impediscono momentaneamente. Si tratta altresì di non dimenticare che l’umanità si va sempre più lasciando alle spalle il proprio passato, in cui credeva nell’esistenza di un limite assoluto insuperabile – verità, Dio, sacro o in qualunque altro modo lo si chiami.
Così stando le cose, ognuna delle forze del passato, che oggi si scontrano mortalmente per imporre la propria idea di bene, non può fare a meno della tecnica per imporsi sulle forze antagoniste. Si provi ad immaginare cosa ne sarebbe del cattolicesimo o del capitalismo se rinunciassero alla forza che mette loro a disposizione la tecnica per realizzare i rispettivi scopi. Semplicemente sparirebbero immediatamente dalla scena, lasciando prevalere forze avverse, l’Islamismo per esempio, il quale non avendo rinunciato alla tecnica sarebbe in grado di imporre la propria idea del bene.
Tuttavia se la tecnica è un mezzo insostituibile, essa perde la propria natura di mezzo per diventare lo scopo anche delle forze che s’illudono di utilizzarlo, dato che – non potendone fare a meno – sono costrette a favorirne l’incremento indefinito, finendo per tralasciare il proprio scopo originario. Farebbero bene i cattolici, ma non solo loro, a riflettere a fondo intorno a quest’ordine di problemi che li vede inevitabilmente su un piano inclinato, che li condurrà a una situazione in cui il messaggio cristiano sarà uno dei tanti mezzi con cui si raggiunge lo scopo della tecnica (essere in grado di realizzare qualunque scopo). Così come ben plasticamente rappresentato dal “mezzo” televisivo che, essendo capace di comunicare qualunque contenuto – cattolico, capitalista, islamico, democratico – da ultimo comunica il messaggio della propria irrinunciabilità per chiunque voglia comunicare il proprio messaggio.