La ministra della Giustizia Marta Cartabia si è recata a palazzo Chigi per incontrare prima il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Roberto Garofoli, e poi il premier Mario Draghi in un confronto sull’attesa riforma del Consiglio superiore della magistratura e della legge sull’ordinamento giudiziario, la terza del “pacchetto giustizia” dopo quelle del processo civile e del processo penale. Gli emendamenti del governo al testo base in discussione in Commissione Giustizia alla Camera – firmato dall’ex ministro Alfonso Bonafede – si attendono almeno dal giugno scorso, quando la commissione ministeriale presieduta dal costituzionalista Massimo Luciani ha depositato le proprie proposte. L’approdo in Consiglio dei ministri era stato annunciato per prima di Natale, poi la pratica è stata accantonata in vista dell’elezione del presidente della Repubblica. E proprio Sergio Mattarella, nel discorso di re-insediamento, ha definito “indispensabile che le riforme annunciate giungano con immediatezza a compimento“, affinché il Csm “possa svolgere appieno la funzione che gli è propria, superando logiche di appartenenza che devono rimanere estranee all’ordine giudiziario”.
Al centro della riforma c’è infatti il nodo della legge elettorale per l’elezione dei membri togati – quelli scelti dalla magistratura tra le proprie file – che si vorrebbe cambiare in modo da ridurre l’influenza delle correnti. Un’esigenza avvertita da almeno tre anni, da quando cioè il trojan nascosto nel cellulare di Luca Palamara ha svelato i traffici tra i consiglieri e la politica per la nomina del procuratore di Roma. Il tempo però stringe, perché il rinnovo dell’organo è previsto a luglio 2022: sabato l’Associazione nazionale magistrati ha espresso “forte e fondata preoccupazione” che la nuova legge “non potrà essere varata in tempo utile” per il voto, mentre a novembre era stato il presidente della Repubblica a sottolineare il rischio che il nuovo Csm possa essere eletto “con vecchie regole e con sistemi ritenuti da ogni parte come insostenibili“. In base alle anticipazioni diffuse finora, peraltro, la riforma prevede un sistema elettorale binominale maggioritario a preferenza unica che secondo molti addetti ai lavori favorirebbe ancora di più lo strapotere delle correnti, rendendo impossibile (ancor più di quanto non lo sia già) l’elezione al Csm di candidati indipendenti.
L’altro tema portante è quello delle porte girevoli tra politica e magistratura, reso urgente dal caso di Catello Maresca, ex pm antimafia a Napoli che dopo la candidatura – perdente – a sindaco della città è tornato a fare il giudice di Corte d’Appello a Campobasso conservando il posto in Consiglio comunale. Nella nuova legge ci sarà il divieto di svolgere funzioni giudiziarie in contemporanea a un mandato elettivo, ma il vero nodo è quello del rientro in magistratura al termine dell’incarico (o anche solo dopo una candidatura). Il ddl Bonafede adottava una soluzione drastica: chi finisce un mandato elettorale non può più riprendere le funzioni giudiziarie, ma dev’essere collocato fuori ruolo. Cartabia invece non ha ancora deciso se confermare la linea dura o virare su una soluzione più “soft”, caldeggiata soprattutto dal Pd: sì al rientro nelle aule di tribunale, ma con un “periodo di raffreddamento” di cinque anni da trascorrere in un diverso distretto e senza poter svolgere le funzioni più delicate (gip/gup o pubblico ministero) e occupare ruoli direttivi.
Stamattina intanto, in un’intervista a Repubblica, la responsabile Giustizia del Pd Anna Rossomando ha ribadito il favore del partito all’ipotesi – lanciata da Luciano Violante – di un’Alta corte a cui trasferire il potere disciplinare nei confronti dei magistrati, al momento spettante al Csm. “Siamo talmente a favore che abbiamo già presentato al Senato un disegno di legge a mia prima firma per istituirla”, ricorda. Il nuovo organo, nella proposta Rossomando, sarebbe composto allo stesso modo della Corte costituzionale: un terzo di eletti dal Parlamento, un terzo dalle magistrature, un terzo di nominati dal capo dello Stato. “Nel Csm resterà una funzione disciplinare che giudica i magistrati, mentre l’Alta corte sarà un giudice di appello e ricorso per tutte le magistrature. Tutte le impugnazioni, sia sulle decisioni disciplinari sia sulle nomine contestate, saranno decise lì”. Un progetto che piace anche ai berlusconiani: “Forza Italia denuncia da decenni la degenerazione correntizia del Csm, e ha presentato negli anni numerosi progetti di riforma sistematicamente rispediti al mittente proprio dalla sinistra di allora. Ora apprendo con soddisfazione che il Pd aderisce alla nostra proposta”, dichiara la capogruppo al Senato Anna Maria Bernini.