“Può il batter d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?”: questo fu il titolo che il matematico e meteorologo statunitense Edward Norton Lorenz utilizzò per una conferenza nel 1972. Il lavoro di Lorenz è legato a quello che chiamiamo “effetto farfalla”, concetto che comunemente ci porta a capire come nel mondo tutto sia intercorrelato. In geopolitica questa nozione diventa quasi un dogma (a maggior ragione nel contesto globalizzato di oggi) e così diventa facile comprendere come quello che sta succedendo sul fronte ucraino nell’Europa dell’est muova la scacchiera militare internazionale provocando delle ripercussioni anche in America latina: nello specifico in Colombia.
Sì, perché come sappiamo, o forse è meglio ripeterlo per i più “sbadati”, la Colombia è il principiale caposaldo e alleato degli Usa in Sud America e la politica de la Casa de Nariño (il palazzo presidenziale a Bogotà) risente non poco degli umori di Washington. Succede allora che proprio mentre stiamo arrivando al momento più algido delle crisi ucraina, il Ministro delle Difesa colombiano, Diego Molano, lanci un’accusa diretta alla Russia per una presunta ingerenza nella frontiera colombo-venezuelana.
Mosca ha ovviamente respinto le dichiarazioni di Molano, e dall’ambasciata russa a Bogotá hanno tacciato le asseverazioni del ministro come inappropriate e irresponsabili, visto che i presunti dati di intelligence a sostegno di quanto dichiarato sarebbero privi di fondamento e verifica. La rappresentanza ufficiale russa in Colombia ha poi accusato il ministro della difesa di star realizzando un’instancabile “caccia alle streghe” fatta di ricerca di nemici fittizi. Probabilmente, e questo lo aggiungo io, per distogliere l’attenzione dalla contesa elettorale dove l’attuale opposizione del presidente Iván Duque è in testa (secondo i sondaggi) all’intenzione di voto dei colombiani e delle colombiane.
Rimane però il fatto che Mosca non abbia nascosto di poter schierare truppe o risorse militari a Cuba e in Venezuela se gli Stati Uniti d’America e la Nato insisteranno con “l’interferire” con i confini e la sicurezza nazionale della Russia. Molano il 3 febbraio ha affermato che le forze armate bolivariane del Venezuela stavano mobilizzando truppe al confine con la Colombia, contando sull’appoggio e l’assistenza tecnica di Russia e Iran: fatto che costituirebbe secondo il ministro della difesa un grave atto di ingerenza in ambito bellico.
Parte di queste truppe sarebbero state inviate al confine con il dipartimento di Arauca, zona tristemente famosa per la costante violenza generalizzata provocata dalla lotta per il controllo della rotta del narcotraffico tra l’Eln e le dissidenze della Farc. Molano però non solo ha accusato Mosca di fare da supporto per la logistica e le necessità tecniche dell’esercito venezuelano, ma ha anche dichiarato che il traffico illecito (e la violenza che ne deriva) inizia nello Stato di Apure, la zona venezuelana di frontiera con Arauca, grazie alla complicità del governo di Maduro con le dissidenze della Farc.
La defensoria del Pueblo colombiana, rispetto alla situazione del dipartimento di Arauca, ha condiviso a inizio febbraio dati terribili: 66 omicidi e 1200 sfollati a causa del conflitto solo a gennaio 2022. A queste affermazioni di Molano ha risposto il suo alter ego venezuelano, Vladimir Padrino López, ministro del Potere Popolare per la Difesa dal 2014. López non ha perso tempo e ha accusato “l’oligarchia bogotana” di aver convertito la Colombia in una appendice del Comando Sud dell’esercito degli Stati Uniti D’America. Il ministro venezuelano ha fatto riferimento alle basi statunitensi installate in Colombia da luglio 2020 per – si suppone – aiutare il governo di Duque a combattere il narcotraffico.
Insomma, quelle tra Colombia e Venezuela sono relazioni diplomatiche logorate da anni di tensioni, accuse reciproche e colpi bassi: un fuoco annaffiato con benzina da Russia e Stati Uniti d’America che su questa frontiera riproducono un “braccio di ferro” già visto. Una frontiera fluida, porosa e incontrollabile che si estende per 2219 km, dove sono presenti diversi gruppi armati che monopolizzano una costante lotta per il controllo delle rotte del narcotraffico. Se le truppe venezuelane si muovono, non sono da meno quelle colombiane che proprio a gennaio 2022 hanno ricevuto numerosi rinforzi per ordine del presidente Duque, con il fine di assicurare il controllo del territorio (e ridurre la violenza).
Ora la “patata bollente” passa proprio al presidente Iván Duque che dovrà riunirsi con l’ambasciatore russo in Colombia, Nicolai Tavdumadze, per provare a ricucire l’ennesimo strappo diplomatico.