Benedetto XVI viene accusato di negligenza in quattro casi di abusi avvenuti durante il suo breve episcopato bavarese. Il papa emerito aveva già inviato agli autori dell’indagine la sua versione dei fatti ,contestando tutte le accuse. Ora che il rapporto è stato pubblicato, ha affidato la redazione della sua replica a quattro giuristi cattolici tedeschi. Prova a difendersi e chiede scusa per l'accaduto
“Ancora una volta posso solo esprimere nei confronti di tutte le vittime di abusi sessuali la mia profonda vergogna, il mio grande dolore e la mia sincera domanda di perdono. Ho avuto grandi responsabilità nella Chiesa cattolica. Tanto più grande è il mio dolore per gli abusi e gli errori che si sono verificati durante il tempo del mio mandato nei rispettivi luoghi. Ogni singolo caso di abuso sessuale è terribile e irreparabile. Alle vittime degli abusi sessuali va la mia profonda compassione e mi rammarico per ogni singolo caso”. È la risposta di Benedetto XVI all’indagine sulla pedofilia del clero dell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga che, dal 1977 al 1981, vide alla guida proprio l’allora cardinale Ratzinger. Dai numeri mostruosi (497 vittime e 235 abusatori) emersi dal rapporto che passa in rassegna un arco temporale di 74 anni, dal 1945 al 2019, il Papa emerito viene accusato di negligenza in quattro casi di abusi avvenuti durante il suo breve episcopato bavarese.
Benedetto XVI aveva già inviato agli autori dell’indagine voluta dal cardinale arcivescovo di Monaco e Frisinga, Reinhard Marx, la sua versione dei fatti contestando tutte le accuse. Ora che il rapporto è stato pubblicato, il Papa emerito, sulla soglia dei 95 anni e alla vigilia del nono anniversario delle sue dimissioni, ha affidato la redazione della sua replica a quattro giuristi cattolici tedeschi di cui tre canonisti: “In nessuno dei casi analizzati dalla perizia Joseph Ratzinger era a conoscenza di abusi sessuali commessi o del sospetto di abusi sessuali commessi dai sacerdoti. La perizia non fornisce alcuna prova in senso contrario”. E ancora: “La perizia non contiene alcuna prova che corrobori l’accusa di comportamento erroneo o di concorso in copertura. Da arcivescovo il cardinale Ratzinger non fu coinvolto in alcuna copertura di atti di abuso”.
“In questi giorni di esame di coscienza e di riflessione – scrive Benedetto XVI – ho potuto sperimentare così tanto incoraggiamento, così tanta amicizia e così tanti segni di fiducia quanto non avrei immaginato. Vorrei ringraziare in particolare il piccolo gruppo di amici che, con abnegazione, per me ha redatto la mia memoria di 82 pagine per lo studio legale di Monaco, che da solo non avrei potuto scrivere. Alle risposte alle domande postemi dallo studio legale, si aggiungeva la lettura e l’analisi di quasi 8.000 pagine di atti in formato digitale. Questi collaboratori mi hanno poi anche aiutato a studiare e ad analizzare la perizia di quasi 2.000 pagine”. “Nel lavoro gigantesco di quei giorni, l’elaborazione della presa di posizione, è avvenuta una svista riguardo alla mia partecipazione alla riunione dell’ordinariato del 15 gennaio 1980. Questo errore, che purtroppo si è verificato, non è stato intenzionalmente voluto e spero sia scusabile. Ho già disposto che da parte dell’arcivescovo Gänswein lo si comunicasse nella dichiarazione alla stampa del 24 gennaio 2022. Esso nulla toglie alla cura e alla dedizione che per quegli amici sono state e sono un ovvio imperativo assoluto. Mi ha profondamente colpito che la svista sia stata utilizzata per dubitare della mia veridicità, e addirittura per presentarmi come bugiardo. Tanto più mi hanno commosso le svariate espressioni di fiducia, le cordiali testimonianze e le commoventi lettere d’incoraggiamento che mi sono giunte da tante persone. Sono particolarmente grato per la fiducia, l’appoggio e la preghiera che Papa Francesco mi ha espresso personalmente. Vorrei infine ringraziare la piccola famiglia nel Monastero Mater Ecclesiae la cui comunione di vita in ore liete e difficili mi dà quella solidità interiore che mi sostiene”.
“Alle parole di ringraziamento – scrive ancora il Papa emerito – è necessario segua ora anche una confessione. Mi colpisce sempre più fortemente che giorno dopo giorno la Chiesa ponga all’inizio della celebrazione della santa messa, nella quale il Signore ci dona la sua parola e se stesso, la confessione della nostra colpa e la richiesta di perdono. Preghiamo il Dio vivente pubblicamente di perdonare la nostra colpa, la nostra grande e grandissima colpa. È chiaro che la parola ‘grandissima’ non si riferisce allo stesso modo a ogni giorno, a ogni singolo giorno. Ma ogni giorno mi domanda se anche oggi io non debba parlare di grandissima colpa. E mi dice in modo consolante che per quanto grande possa essere oggi la mia colpa, il Signore mi perdona, se con sincerità mi lascio scrutare da lui e sono realmente disposto al cambiamento di me stesso. In tutti i miei incontri, soprattutto durante i tanti viaggi apostolici, con le vittime di abusi sessuali da parte di sacerdoti, ho guardato negli occhi le conseguenze di una grandissima colpa e ho imparato a capire che noi stessi veniamo trascinati in questa grandissima colpa quando la trascuriamo o quando non l’affrontiamo con la necessaria decisione e responsabilità, come troppo spesso è accaduto e accade”.
Le ultime parole di Benedetto XVI sembrano quasi un testamento spirituale: “Ben presto mi troverò di fronte al giudice ultimo della mia vita. Anche se nel guardare indietro alla mia lunga vita posso avere tanto motivo di spavento e paura, sono comunque con l’animo lieto perché confido fermamente che il Signore non è solo il giudice giusto, ma al contempo l’amico e il fratello che ha già patito egli stesso le mie insufficienze e perciò, in quanto giudice, è al contempo mio avvocato (paraclito). In vista dell’ora del giudizio mi diviene così chiara la grazia dell’essere cristiano. L’essere cristiano mi dona la conoscenza, di più, l’amicizia con il giudice della mia vita e mi consente di attraversare con fiducia la porta oscura della morte”.
Nella replica dettagliata alle accuse si legge che “nel rapporto sugli abusi dell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga si afferma che: Joseph Ratzinger, al contrario di quanto da lui sostenuto nella memoria redatta in risposta ai periti, era presente alla riunione dell’ordinariato del 15 gennaio 1980 nella quale si parlò del sacerdote X. E si sostiene che il cardinale Ratzinger avrebbe impiegato questo sacerdote nell’attività pastorale, pur essendo a conoscenza degli abusi da lui commessi, e con ciò avrebbe coperto i suoi abusi sessuali. Ciò non corrisponde al vero, secondo le nostre verifiche: Joseph Ratzinger non era a conoscenza né del fatto che il sacerdote X fosse un abusatore, né che fosse inserito nell’attività pastorale. Gli atti mostrano che nella riunione dell’ordinariato del 15 gennaio 1980 non si decise l’impiego del sacerdote X per un’attività pastorale. Gli atti mostrano anche che nella riunione in questione non si trattò del fatto che il sacerdote aveva commesso abusi sessuali. Si trattò esclusivamente della sistemazione del giovane sacerdote X a Monaco di Baviera, perché lì doveva sottoporsi a una terapia. Si corrispose a questa richiesta. Durante la riunione non venne menzionato il motivo della terapia. Nella riunione non venne perciò deciso di impiegare l’abusatore in alcuna attività pastorale”.
I collaboratori del Papa emerito smentiscono anche un’altra accusa: “Nel rapporto sugli abusi dell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga si afferma che: con riguardo alla sua presenza alla riunione dell’ordinariato del 15 gennaio 1980, Benedetto XVI avrebbe consapevolmente deposto il falso, avrebbe mentito. Ciò non risponde al vero, infatti: l’affermazione contenuta nella memoria di Benedetto XVI per cui egli non avrebbe preso parte alla riunione dell’ordinariato del 15 gennaio 1980 è effettivamente errata. Tuttavia Benedetto XVI non ha mentito o consapevolmente deposto il falso: nella redazione della memoria di Benedetto XVI tale fatto è stato sostenuto da un gruppo di collaboratori”. Essi “sono stati chiamati perché Benedetto XVI non poteva da solo analizzare la massa delle questioni in breve tempo e perché lo studio legale incaricato della perizia poneva delle domande che facevano riferimento al diritto canonico, cosicché per la risposta era necessario un inquadramento nel diritto canonico”.
Uno di questi collaboratori, l’unico al quale è stata consentita la visione degli atti in versione elettronica, “ha inavvertitamente commesso un errore di trascrizione” e “ha appuntato erroneamente che Joseph Ratzinger non era presente alla riunione dell’ordinariato del 15 gennaio 1980. Ai collaboratori dunque è sfuggito questo errore: aver scritto di assenza laddove questa non c’era stata. Essi si sono fidati di una indicazione falsa, inserita per errore, omettendo di chiedere espressamente a Benedetto XVI se egli fosse stato presente a quella riunione. Sulla base dell’erronea trascrizione della verbalizzazione si è supposto invece che Joseph Ratzinger non fosse stato presente. Benché gli premesse verificare sulla base della propria memoria quanto presentato, Benedetto XVI non ha notato l’errore per via dei tempi limitati imposti dai periti, e si è fidato di quanto era scritto, e dunque è stata messa a verbale la sua assenza. Non si può imputare a Benedetto XVI quest’errore di trascrizione come falsa deposizione consapevole o ‘bugia’. Non avrebbe peraltro avuto alcun senso che Benedetto intenzionalmente negasse la sua presenza alla riunione: infatti il verbale della riunione riporta affermazioni di Joseph Ratzinger. La presenza di Joseph Ratzinger pertanto era evidente. Inoltre, nel 2010 diversi articoli di stampa riferiscono, senza smentita, della presenza del cardinale Ratzinger alla riunione. Allo stesso modo, in una biografia di Benedetto XVI pubblicata nel 2020 si legge: ‘Da vescovo, nel corso di una riunione dell’ordinariato nel 1980, egli aveva solo acconsentito che il sacerdote in questione potesse venire a Monaco di Baviera per sottoporsi a una psicoterapia’”.