In questi giorni di febbrili trattative per evitare l’invasione russa dell’Ucraina la posta in gioco non appare quella di mantenere l’integrità territoriale dell’Ucraina e di scongiurare – secondo le stime di Washington – la morte di almeno 30.000 civili ucraini in caso di invasione militare.
Attraverso la crisi ucraina si stanno ridefinendo gli equilibri geopolitici in Europa e nel mondo. L’Unione europea paga il suo mancato processo di integrazione, dal momento che ha continuato a delegare le questioni di sicurezza agli Stati Uniti dentro all’ambito Nato rinunciando ad avere un proprio esercito e una propria politica di difesa.
In questa situazione, gli interessi dell’Europa coincidono poco con quelli statunitensi. I maggiori Stati europei (Germania, Francia, Italia) hanno proficue relazioni con la Russia sul piano economico e l’aspetto non riguarda soltanto le strategiche forniture di gas. I principali Stati fondatori dell’Ue non hanno alcun interesse a innalzare la tensione con la Russia: lo dimostra il prudente atteggiamento tedesco (sin quasi all’imbarazzo), lo si vede nella dinamicità diplomatica della Francia che è la più propositiva nel lanciare proposte di mediazione, e lo si nota anche nella posizione più defilata mantenuta dalla nostra diplomazia, non indifferente al peso dello scambio commerciale tra Italia e Russia, aspetti che la videoconferenza di Vladimir Putin con una rappresentanza dell’imprenditoria italiana ha posto in piena luce.
All’Unione europea non conviene un conflitto né l’atteggiamento di fondo della diplomazia di Bruxelles appare così intransigente nello stabilire linee nette nel rapporto tra Mosca e Kiev. Si dice che in gioco ci sia l’autodeterminazione (quindi la piena indipendenza) dell’Ucraina a scegliersi liberamente le proprie alleanze, dal punto di vista politico verso l’Ue e conseguentemente dal punto vista di militare verso la Nato.
In realtà, il nodo del problema in termini geopolitici non riguarda il livello di libertà consentito all’Ucraina, ma la leadership statunitense in Europa e la sua relazione di potere con la Russia. Gli Stati Uniti sono chiamati a compattare nella propria linea di intransigenza gli alleati europei e, al contempo, devono dimostrare la capacità di far desistere la Russia dalle sue pretese. Centrando questo obiettivo, gli Usa si porrebbero in una posizione di forza anche sullo scenario asiatico di fronte al principale competitor economico e militare quale è la Cina dove sotto la cenere, ma le braci accese sono evidenti, cova il proposito di Pechino di ricongiungere Taiwan al proprio territorio.
Letta in questi termini, la crisi ucraina è molto più complicata delle ragioni che originariamente sono alla base della contesa.
L’Ucraina è un paese con una superficie che è quasi il doppio di quella italiana (ma con 18.000.000 milioni di abitanti in meno), il cui territorio a est si insinua tra il Mar Nero e penetra nelle grandi pianure russe. Tra Kiev e Mosca ci sono 860 chilometri: non vi è dubbio che le armi strategiche della Nato – se l’Ucraina vi aderisse – renderebbero la capitale russa decisamente vulnerabile. La politica di potenza avviata da Putin non permetterebbe mai uno scenario simile perché sarebbe la fine del grande autocrate e del suo disegno. Con la fine dell’Urss nel 1991 e, ancora, in anni più recenti, durante l’amministrazione di Barak Obama, i rapporti tra Stati Uniti e Russia si erano incanalati nel riconoscimento della tradizionale sfera di influenza russa su Ucraina e Georgia.
Questo realisticamente significa – e dovrebbe sostenerlo l’Unione europea – che in questa area vanno contemplati Stati cuscinetto, in una condizione di neutralità tra Russia e Occidente. Se l’Europa vuol far sentire la sua voce nel suo territorio, questa sarebbe l’occasione giusta.