Parte del mondo scientifico chiede l'esclusione dei riferimenti al metodo biodinamico, che la norma equipara a quello biologico. La deputata e prima firmataria Maria Chiara Gadda: "Accuse strumentali, affossare la legge significa ridurre il vantaggio competitivo dell'Italia rispetto agli obiettivi fissati dall'Europa e in un mercato che per noi vale 7,5 miliardi l'anno"
Dopo aver attraversato tre legislature e un lungo iter parlamentare, torna alla Camera per l’approvazione finale il disegno di legge 988 sulle produzioni agricole e agroalimentari con metodo biologico alle quali destinare i fondi europei per il settore. “Subito la legge”, chiede il comunicato congiunto di Coldiretti, Codacons, Federbio, Legambiente e Slow Food. Un appello a evitare ulteriori modifiche che rimanderebbero il ddl al Senato col rischio di affossarlo definitivamente. Ma soprattutto una risposta a un altro, accorato appello. Quello di una parte importante del mondo scientifico italiano, preoccupata perché all’agricoltura biologica il ddl accosta quella biodinamica, fondata dal filosofo tedesco Rudolf Steiner con pratiche ispirate anche alla cosmologia. Di “pseudo scienza” hanno parlato in questi giorni anche Piero Angela e il premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi, che scrive: “Biodinamica® è di proprietà di una società multinazionale con fine di lucro, la Demeter International, che con il riconoscimento legislativo acquisisce un vantaggio competitivo”. Un’accusa ingiusta secondo il presidente dell’Associazione per l’agricoltura biodinamica, Carlo Triarico, che siede nel consiglio dell’associazione Demeter Italia, la prima e più nota federazione privata di coltivatori tra quelle che certificano il biodinamico. “Non mi interessa quello che ha scritto Steiner e la sua filosofia”, è la posizione della prima firmataria del ddl, la deputata di Italia Viva Maria Chiara Gadda. “Si prendono finanziamenti perché si è imprenditori agricoli professionali e perché si ha la certificazione biologica, e questo vale anche per chi, con motivazioni che non mi interessano, sceglie di fare agricoltura biodinamica”.
Con l’Italia secondo produttore mondiale dopo gli Stati Uniti, il biologico tricolore è un comparto che conta più di 70mila produttori, per un valore di mercato che nel 2021 ha raggiunto i 7,5 miliardi di euro e un’occupazione cresciuta del 71% nell’ultimo decennio. “Con quasi due italiani su tre (64%) che mettono prodotti bio nel carrello occorre difendere produttori e consumatori e garantire la trasparenza degli acquisti approvando subito la legge nazionale sul biologico che prevede anche l’introduzione di un marchio per contrassegnare come 100% Made in Italy solo i prodotti biologici ottenuti da materia prima nazionale”. Lo scrivono le associazioni di ambientalisti, consumatori e produttori in un comunicato congiunto alla vigilia della discussione alla Camera del ddl 988. Un treno da non perdere, perché potrebbe ridursi il vantaggio competitivo che l’Italia ha sul mercato internazionale e rispetto alla strategia europea Farm to Fork e all’Agenda 2030, che entro quell’anno chiede ai paesi membri di dedicare il 25% dei terreni coltivati al biologico, con l’attuale media Ue all’otto per cento e la nostra che è già al 15,8 per cento. Una legge meritoria anche per quella parte di mondo scientifico che però non ammette l’equiparazione tra agricoltura biologica e biodinamica, a partire da pratiche come l’ormai famoso cornoletame, l’interramento di corna di vacca riempite di letame per stimolare la fertilità del terreno. Ad accusare di “stregoneria” il metodo steineriano, che secondo il ministero dell’Agricoltura coinvolge 4.500 coltivatori italiani, sono alcuni tra i nomi più importanti della scienza italiana. E il Nobel Parisi è solo l’ultimo a esporsi e a chiedere l’eliminazione dal testo della legge di ogni riferimento alla biodinamica, come già l’anno scorso aveva fatto la scienziata e senatrice a vita Elena Cattaneo. Ma tali modifiche, viste le regole del Parlamento, rimanderebbero la legge in Senato per un’ulteriore lettura. “E visti i tempi della legislatura” – è convinta la deputata e promotrice del ddl Maria Chiara Gadda – “significa affossare una legge che le nostre aziende meritano visti i risultati e la qualità premiata in tutto il mondo”.
È bene ribadirlo: il ddl non assegna i fondi europei ai coltivatori biodinamici in quanto tali, ma solo in quanto agricoltori biologici certificati. E ai fini della legge, che promuove e valorizza approcci e prodotti biologici quali parte di una strategia ecologica nazionale ed europea, il metodo biodinamico è equiparato a quello biologico in quanto rispetta le disposizioni della normativa. Ma allora perché citarlo esplicitamente, col rischio di scatenare polemiche e ostacolare l’approvazione del ddl? “Fu l’Icqrf, l’Ispettorato del ministero dell’Agricoltura che si occupa anche dei controlli sulle certificazioni, a chiedere che nella legge fosse inserita l’agricoltura biodinamica, perché ci sono diverse certificazioni e non tutte prevedono di avere già la certificazione biologica, come richiesto da Demeter”, spiega la deputata di Italia Viva. “Un modo per assicurare maggiori e più efficaci controlli senza lasciare zone d’ombra. E grazie a questa legge, se lo riterremo opportuno, un domani si potranno aggiungere ulteriori strumenti di garanzia”. Ma le accuse del mondo scientifico vanno anche a quella che viene definita “la multinazionale che controlla il marchio Biodinamica”. Si tratta della Federazione internazionale Demeter e delle sue declinazioni nazionali: quella italiana risale al 1947. “La registrazione del marchio non è avvenuta per utilizzarlo in modo esclusivo” – spiega Carlo Triarico – “ma per tutelare la federazione di coltivatori e difendere l’integrità del metodo da chi dichiara di fare biodinamico senza il necessario rigore”. La questione è dibattuta anche tra i produttori italiani, a partire da quelli che intendono fare biodinamica senza pagare Demeter o altri. E infatti sono solo 450 le aziende che si avvalgono delle certificazioni, appena il dieci percento delle oltre 4.500 registrate dal ministero come biodinamiche. Nondimeno, molti scienziati chiedono che la legge non assegni a un loro rappresentante un posto al tavolo tecnico sull’agricoltura biologica. “Anche qui, la legge non fa che istituzionalizzare una prassi che esiste da sempre”, ribatte Triarico. “Da anni e sistematicamente partecipo al tavolo del ministero sul biologico, così come sono membro permanente del ‘Comitato per la ricerca in agricoltura biologica e biodinamica’ del ministero, e sempre in qualità di presidente dell’Associazione biodinamica italiana, dove appena un terzo dei soci si avvale del certificato Demeter”.
Al netto di preparati come il cornoletame, che molti coltivatori biodinamici considerano ormai un’eredità marginale e non rappresentativa del metodo agricolo odierno (leggi), vanno poi citate pratiche come la destinazione alla biodiversità del 10 percento del terreno o il riutilizzo in azienda di tutta la sostanza organica prodotta. Pratiche che l’Agenda europea indica come obiettivi per il 2030. “Misure non ancora necessarie per la certificazione biologica, ma già oggi patrimonio dell’agricoltura biodinamica, come l’obbligo di avere anche gli animali in campo”, spiega Triarico. Che a proposito di scienza cita una recente ricerca condotta in Francia da AgroParisTech e dall’Istituto nazionale di ricerca per l’agricoltura, il cibo e l’ambiente (Inrae) di Digione, enti che fanno capo al ministero francese dell’Agricoltura e delle politiche alimentari. “Una vasta review della letteratura scientifica dedicata alla comparazione tra agricoltura convenzionale, biologica e biodinamica, grazie alla quale si è osservato che gli indicatori organici del suolo migliorano di circa il 70% nell’agricoltura biodinamica e biologica rispetto a quella convenzionale, e che complessivamente il 43% dei bioindicatori migliorano nell’agricoltura biodinamica, anche rispetto all’agricoltura biologica di base”. Questo, secondo Gadda, è quanto può interessare al legislatore che ha l’obiettivo di ridurre l’uso di prodotti chimici nei suoli e nelle acque: “La possibilità di avere in Italia più agricolture regolate e certificate, capaci di offrire possibilità anche a zone che non si prestano alla coltivazione intensiva, perché il 70 percento dei nostri terreni è in zone non pianeggianti e nell’ultimo ventennio abbiamo perso il 20 percento di terreno agricolo”, spiega. E conclude: “Non mi interessa la filosofia che ci sta dietro, ma se rispetta la normativa ed è certificata biologica, essendo una realtà produttiva del Paese (l’Italia è terza dopo Germania e Francia per superficie coltivata con metodo biodinamico, ndr) è giusto che un legislatore laico si rivolga anche a questi imprenditori”