di Alberto Siculella
“Ogni volta che deroghi a una regola praticamente la cancelli”, disse Gianroberto Casaleggio, che nei primi anni di Movimento teneva la barra dritta di una formazione politica nascente e che, per dimensioni e rapidità di sviluppo, sorprese le altre forze e gli stessi fondatori. Casaleggio venne a mancare e l’intransigenza andò scemando nel tempo. Deroga dopo deroga, il Movimento di fatto ha cancellato numerose regole interne, a tal punto da non averne più, o quasi. Anzi, stando alla sentenza del Tribunale di Napoli, le regole introdotte nel nuovo statuto e la nomina a leader di Giuseppe Conte non sono valide, poiché la procedura di voto avvenne su un’altra piattaforma formalmente non riconosciuta ed escludendo gli iscritti da meno di sei mesi.
Una tegola che segue quanto accaduto qualche mese fa, quando il Movimento chiese alla sua base di votare a favore dell’acquisizione dei finanziamenti pubblici tramite il 2×1000. La base, ulteriormente frammentata e sconcertata, si astenne in massa, ma i pochi votanti seguirono le indicazioni dei vertici e votarono sì. Ma non è finita. Per ottenere quel 2×1000 bisogna necessariamente essere iscritti al registro nazionale dei partiti. La commissione bocciò lo statuto del Movimento, poiché non conforme alle indicazioni prescritte dalla legge. Niente registro, niente 2×1000: il danno e la beffa.
In quattro anni il Movimento è passato dal 34% dei voti al 13% nei sondaggi, e la prima rappresentanza politica in Parlamento si è ridotta di un terzo. Tra fuoriusciti ed espulsi, ben 94 parlamentari hanno cambiato casacca, perlopiù confluendo in “Alternativa” e “Gruppo Misto.” Espulsioni di chiunque, anche di chi stava cercando di evitare che il Movimento andasse a sbattere. Le lacune che gli attivisti chiedevano di colmare sono diventate dei solchi, che perimetrano le correnti interne, quelle degne dei migliori partiti politici che per mantenere potere e poltrone sono pronte a tutto.
Di deroga in deroga nasce il primo Governo con la Lega, il secondo con Pd+Leu, il terzo, quello attuale della grande adunanza. E per osmosi ne hanno beneficiato tutti, erodendo credibilità e consenso, andati prima in favore della Lega, poi del Pd, ora di Forza Italia e partiti minori. Lezione appresa? No. Si avvicina un’altra deroga, quella del limite del secondo mandato, che per voce dello stesso Conte andrebbe applicata solo ad alcuni e comunque votata dalla base. Scelta non solo discriminatoria per “alcuni”, ma che infrange l’ultima regola del Movimento, ovvero quella di combattere la politica delle poltrone a vita, scaricando la responsabilità a quei pochi voti che arriveranno dalla base, e che questa volta, nonostante l’indicazione di voto, sconfesseranno i vertici. Chi è causa del suo mal pianga se stesso.
Al netto delle considerazioni personali, Giuseppe Conte continua a crescere in termini di fiducia e sondaggi come leader politico, il Movimento continua a precipitare. Insomma, i Conte non tornano.