“Il paese è mio e comando io, tornerò a fare il sindaco”. Angelo Salinardi ha 73 anni, ben 40 dei quali trascorsi al governo del piccolo comune di Ruoti, poco più di 3mila anime a 60 chilometri di curve da Potenza. Alla guida dal piccolo borgo lucano c’è la sua famiglia dal 1973: oltre ai suoi mandati, i ruotesi hanno visto sedere alla poltrona di primo cittadino anche tre fratelli e qualche altro membro della famiglia. Una dinastia, insomma. Che si perpetua anche attraverso la scelta dei nuovi volti dell’amministrazione comunale. E questo avviene anche nel 2017 quando la coalizione civica di Salinardi porta alla vittoria Anna Scalise, 39enne laureata in scienze della Formazione. Il suo vice, manco a dirlo, è proprio Angelo Salinardi. Almeno fino al 2019 quando i rapporti tra i due esplodono. L’uomo pensava di poter continuare a gestire tutto come aveva sempre fatto, ma la sindaca non ci sta: ragiona con la sua testa, compie le sue scelte, senza paura. La tensione cresce fino a quando la prima cittadina revoca la delega di vice sindaco che da quel momento dà il via a una vera e propria guerra.
Insieme ad altri consiglieri comunali, giornalisti, membri delle forze dell’ordine prova a seppellire la donna a colpi di denunce e veleni. Salinardi è un imprenditore facoltoso: le aziende a lui riconducibili sono in affari con le grandi società dell’indotto Fca di Melfi e Torino. Per la procura di Potenza quell’impero economico è frutto delle mazzette che elargisce ai vertici dei provider come Bcube e Aptive per accaparrarsi i sub appalti e le commesse da milioni di euro: ai vertici di queste aziende non offre solo denaro contante, ma paga la domestica, il giardiniere, l’auto e persino le multe. Una parte del denaro che incassa con quelle commesse, il 73enne lo impiega nella sua guerra per tornare alla guida del Comune. Dossieraggi, diffamazioni, esposti pretestuosi, secondo gli inquirenti guidati dal procuratore Francesco Curcio sono gli strumenti utilizzati da Salinardi per delegittimare Scalise.
C’è uomo, Gerardo Scavone, che segue la donna quasi costantemente, sempre secondo i magistrati: scatta foto, la pedina sotto casa e in ufficio, acquisisce informazione dai dipendenti comunali, indaga per conto di Salinardi alla ricerca di informazioni che possano screditare la donna diventata ormai una nemica. E per raggiungere l’obiettivo sono pronti a tutto. Accusano Scalise, anche pubblicamente durante i consigli comunali, di intrattenere relazioni extra coniugali con un consigliere della sua maggioranza. Inviano persino messaggi al telefonino del marito affinché, una volta scoperti i presunti tradimenti, possa spingere la donna a lasciare la politica. Ma niente da fare, non basta. Salinardi alza il tiro: affida, sostengono i pm, a un giornalista come Carmine Luigi Scaglione, ex assessore regionale e attualmente addetto stampa della Provincia di Potenza, il compito di redigere comunicati stampa da inviare ai media locali. Qualcuno pubblica la notizia.
Ma non è vera: quegli incontri “carbonari” non sono mai esistiti. E così, non contenti, cominciano a inondarla di denunce: “Ma ormai è una battaglia che dobbiamo portarla avanti fino in fondo – racconta Salinardi al telefono, ignaro di essere ascoltato dai poliziotti – non gli lasciamo neanche un documento intentato. No, la devo uccidere, la devo far stare 20 anni in tribunale, quello è il mio obiettivo”. Coglie ogni occasione per depositare una denuncia. Coinvolge tutte le persone vicine alla sua corte. Come l’ufficiale dei Vigili urbani Marianna Di Maio a cui chiede di avviare un ricorso contro l’incarico che l’amministrazione comunale ha affidato a un suo collega. La donna però non vuole sostenere i costi e lo dice molto chiaramente: “Io non lo faccio, sennò Angelo, che cosa me ne importa? Nel senso che… il fatto del ricorso al Tar non lo faccio… ma a me poi fondamentalmente che hanno preso a lui che me ne frega?”. Pur di distruggere la Scalise, il 73enne, non si tira indietro: “Ci vediamo domani e te li do”.
La sua rete di informatori, però è particolarmente estesa e gli permette di capire che su di lui si stanno concentrando le attenzioni dei poliziotti Squadra Mobile agli ordini del vice questore Marco Mastrangelo. Inizialmente la cosa sembra non impensierirlo: “Lo sai che a me non me ne fotte di nessuno, né di un procuratore, né sotto procuratore. Alla mia età non me ne fotte”, ma un giorno scopre che gli investigatori hanno piazzato una cimice nella sua auto. Attraverso Scaglione entra in contatto con Giuseppe Lavano, un dirigente della Regione Basilicata che provvede a bonificare la sua auto accertando la presenza di microspie. L’uomo comincia ad avere paura: “Io sono andato in una tensione… stavo in tensione proprio io, non… capito, dopo la telefonata di Scaglione sono andato in tensione… eh, poi questo fatto di questo farabutto qui”.
Le indagini, infatti, lo travolgono. Portano alla luce, secondo l’accusa, il disegno ordito per abbattere Scalise e i traffici illeciti. Un’inchiesta che ha portato a 16 arresti: ai domiciliari sono finiti il 73enne, ma anche tre consiglieri comunali, il giornalista Scaglione, il factotum Scavone, il dirigente Lavano, l’ufficiale dei Vigili urbani Di Maio e persino un carabiniere, accusato di aver ottenuto abusivamente informazioni poi passate a Salinardi. “Oggi – ha commentato Scalise – mi viene restituita la mia onorabilità. Non avrei mai immaginato di dovermi difendere da comportamenti così aggressivi e sono rattristata per la parabola umana di persone a cui non ho inteso mai procurare un benché minimo danno e verso cui non porto né porterò mai rancore. Alla luce di quanto accaduto avverto ancor di più la responsabilità di chi esercita un ruolo pubblico e la necessità di impegnarsi per il bene della propria comunità”.