di Monica Valendino
Molti analisti di politica italiana sostengono da giorni che c’è crisi di partiti, che il parlamento ha perso i suoi perni. Nulla di più errato! Non sono i partiti a mancare, di fatto anche con nomi diversi e scissi in più gruppi sono gli stessi che da decenni governano in Italia. Quello che manca sono i politici, una classe dirigente capace, lungimirante e soprattutto con una qualche ideologia che la sostenga. Oggi i vari capi dei partiti, nessuno escluso, è mediocre tanto che perfino una figura ingombrante e a mio avviso autoritaria come quella di Mario Draghi appare per molti come rassicurante e permette di nascondersi dietro la sua ombra abilmente dipinta come aura da molti sostenitori compiacenti, pur di non dover prendere decisioni.
Ma quello che si paventa davanti è ancor più fosco e preoccupante. Secondo me si respira una pesante aria da regime: il green pass, per esempio, oltre che non proteggere nessuno (vaccinati e non si contagiano e portano in giro il virus), viene imposto come ricatto impedendo a molti cittadini anche di accedere a servizi basilari come poste o banche. Si impongono norme restrittive senza basi scientifiche, si protraggono senza scadenza regole senza fondamenta aumentando la frattura che la società sta vivendo con la politica stessa, la rabbia e reprimendo le manifestazioni, prima proibendo le piazze poi usando anche i manganelli verso gli studenti.
In questo scenario non esce di certo vincitore Sergio Mattarella, rieletto a furor di applausi servili e senza il suo assenso iniziale. Un presidente per forza che però da mesi avalla scelte, secondo me, al limite della Costituzione. Non è per paura di perdere la pensione che questa politica ha scelto di andare avanti con un Governo arlecchino e senza un programma vero. No, lo scenario che si sta configurando è molto più serio.
Da giorni tutti fanno a gara nel rinnegare quello che il popolo italiano ha voluto con forza dopo tangentopoli, ovvero un sistema elettorale maggioritario che consenta ai cittadini di scegliere prima la coalizione che deve governare. Si vorrebbe tornare al passato con una frammentazione in mille sigle – pronte però nel dopo elezioni a convergere anche senza una vera linea comune in un penta o esa-partito che di fatto possa andare avanti una legislatura intera, magari chiedendo ancora al Mario Nazionale di “appoggiarlo”. E tutti vissero così felici e contenti, col premier più tecnico della storia d’Italia a continuare la sua politica che non ascolta voci e ragioni (vedi anche scostamento di bilancio per far fronte a una inflazione e un rincaro dell’energia senza precedenti dagli anni Settanta), con i signorotti segretari di partito a fare da vassalli e nascondersi dalle loro responsabilità, ma pur sempre bene ancorati a quel potere che con un sistema proporzionale si spartisce a meraviglia. Il tutto tenendo a bada la rabbia dei cittadini esasperati e sempre più impotenti visto che anche l’arma del voto appare spuntata.
Qualcuno ricorderà Mediterraneo di Gabriele Salvatores. Il finale sembra scritto oggi. Il tenente Lo Russo (Diego Abatantuono) dopo essere tornato in Italia dall’esilio forzato nell’isola dell’Egeo era pieno di voglia di cambiare il Paese, di renderlo migliore. Alla fine però su quell’isola ci tornò anni dopo: “Non ci hanno lasciato cambiare niente e allora gli ho detto: avete fatto come volevate ma almeno non riuscirete a considerarmi vostro complice. Così gli ho detto e son tornato qui”. E infatti, come sosteneva Henri Laborit, dal cui libro è stato ispirato il film, in tempi come questi la fuga è forse l’unica via per rimanere vivi e continuare a sognare. Perché l’Italia rischia di uscire dalla pandemia e dalla crisi molto peggio di come era entrata due anni fa.