Tutti a processo. È la richiesta della Procura di Firenze, che vuole il rinvio a giudizio di 11 indagati, tra cui Matteo Renzi, per l’inchiesta sulle presunte irregolarità nei finanziamenti a Open, la fondazione nata per sostenere le iniziative politiche dell’ex premier. Tra gli indagati per i quali è stato chiesto il processo ci sono anche Maria Elena Boschi, Luca Lotti, l’ex presidente di Open Alberto Bianchi e l’imprenditore Marco Carrai. Coinvolte nell’inchiesta anche quattro società. L’udienza preliminare si terrà il 4 aprile prossimo. Al centro dell’inchiesta della Procura fiorentina ci sono le donazioni, in certi casi generose, alla fondazione che ha finanziato alcune edizioni della Leopolda e ha accompagnato l’ex premier durante la scalata alla segreteria del Pd e l’entrata a Palazzo Chigi. Secondo l’accusa Open era diretta dallo stesso ex segretario del Pd. Il 19 ottobre scorso i pm Luca Turco e Antonino Nastasi avevano inviato un avviso di conclusione indagini a undici persone e quattro società contestando, a vario titolo, il finanziamento illecito ai partiti, la corruzione, il riciclaggio, il traffico di influenze. Per l’accusa, insomma, la fondazione agiva come articolazione di partito. L’indagine è nota alle cronache dal settembre del 2019, quando la procura delegò alla Guardia di Finanza decine di perquisizioni ai finanziatori della stessa Open in varie città italiane.
La nota di Renzi contro i pm – Più volte in passato Renzi ha attaccato la procura di Firenze per l’indagine Open. Ora che è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio, il leader d’Italia viva fa diffondere una nota per dire che “finalmente inizia il processo nelle aule e non solo sui media. E i cittadini potranno adesso rendersi conto di quanto sia fragile la contestazione dell’accusa e di quanto siano scandalosi i metodi utilizzati dalla procura di Firenze”. Poi Renzi torna ad attaccare frontalmente tutti i pubblici ministeri che si sono occupati dell’indagine Open. “È utile ricordare a questo proposito che la richiesta è stata firmata dal Procuratore Creazzo, sanzionato per molestie sessuali dal Csm; dal procuratore aggiunto Turco, che volle l’arresto dei genitori di Renzi poi annullato dal Tribunale della Libertà e dal Procuratore Nastasi, accusato da un ufficiale dell’Arma dei Carabinieri di aver inquinato la scena criminis nell’ambito della morte del dirigente Mps David Rossi. Questi sono gli accusatori”, scrive l’ufficio stampa del leader d’Italia viva. Renzi si riferisce alla perdita di due mesi di anzianità inflitta nel dicembre scorso dal Consiglio superiore della magistratura al procuratore Creazzo, accusato dalla pm di Palermo Alessia Sinatra di averla molestata sessualmente nel 2015 in un hotel romano durante un’iniziativa della loro corrente, Unicost. Su Nastasi, invece, Renzi rilancia le accuse – tutte da dimostrare – del colonnello Pasquale Aglieco: ha sostenuto di aver visto Nastasi rispondere al cellulare di David Rossi, subito dopo che il manager Mps era precipitato dalla finestra del suo ufficio. I fatti risalgono al 2013, le accuse di Aglieco però sono arrivate solo nove anni dopo e soltanto davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Rossi. L’ufficio stampa dell’ex premier, poi, si scaglia ancora contro i pm, spiegando che Renzi li ha addirittura denunciati alla procura di Genova. L’accusa è la stessa che, su input sempre di Renzi, ha dato origine all’apertura di una discussione davanti alla Giunta per le immunità del Senato: la presunta violazione dell’articolo 68 della Costituzione, che vieta di perquisire i parlamentari. All’epoca dei fatti contestati, però, Renzi non era ancora stato eletto al Senato. Senza considerare che i messaggi e le chat agli atti dell’inchiesta Open sono contenuti nei cellulari sequestrati ad altri indagati e non quindi al senatore d’Italia viva. Che però insiste: “Il senatore Renzi – si legge nella nota dell’ufficio stampa – ha provveduto a firmare una formale denuncia penale nei confronti dei magistrati Creazzo, Turco, Nastasi. L’atto firmato dal senatore sarà trasmesso alla Procura di Genova, competente sui colleghi fiorentini, per violazione del’articolo 68 Costituzione, della legge 140/2003 e dell’articolo 323 del codice penale. Renzi ha chiesto di essere ascoltato dai Pm genovesi riservandosi di produrre materiale atto a corroborare la denuncia penale contro Creazzo, Turco, Nastasi”. Quindi il leader d’Italia viva è tornato a ripetere una frase che più volte ha pronunciato riferendosi a questa storia: “Io non ho commesso reati, spero che i magistrati fiorentini possano in coscienza dire lo stesso”.
Gli indagati – Coinvolti nell’inchiesta, seppur con contestazioni diverse, ci sono tutti i più alti esponenti del cosiddetto Giglio Magico: l’ex premier Renzi, l’ex ministra e attuale capogruppo di Italia viva alla Camera Maria Elena Boschi, l’ex sottosegretario e attuale deputato del Pd Luca Lotti, l’avvocato Alberto Bianchi – già presidente di Open – e l’imprenditore Marco Carrai. I pm hanno fatto notificare gli avvisi anche a Patrizio Donnini, Alfonso Toto, Riccardo Maestrelli, Carmine Ansalone, Giovanni Caruci, Pietro Di Lorenzo. Avvisi di chiusura indagine anche a quattro società: la Toto Costruzioni, la Immobil Green, la British American Tobacco Italia spa e la Irbm spa (già Irbm Science park spa). Secondo i magistrati della procura fiorentina la Fondazione Open ha agito come l’articolazione di un partito e tra il 2012 e il 2018 avrebbe ricevuto “in violazione della normativa” sul finanziamento ai partiti circa 3,5 milioni di euro, spesi almeno in parte per sostenere direttamente l’attività politica della corrente renziana del Pd. Va detto che per due volte la Cassazione ha annullato il provvedimento di sequestro dei documenti e del pc di Carrai, non considerando provato che la Fondazione Open agisse come un’articolazione di partito.
La procura, però, è convinta del castello accusatorio e anche il Riesame si è espresso nuovamente sulla stessa lunghezza d’onda lo scorso settembre. Nell’avviso di conclusione indagini firmato dal pm Nastasi, c’è scritto che dal 7 novembre 2014 all’11 luglio 2018 la Fondazione ha ricevuto 3.567.562 euro. segnalata poi una lunga lista di finanziatori individuati dalla Guardia di finanza, alcuni dei quali per l’accusa hanno corrotto Luca Lotti perché nella sua carica segretario del Comitato Interministeriale per la programmazione economica li agevolasse nei rispettivi settori. Sempre nell’avviso di conclusione indagini, i pm hanno argomentato che Bianchi, Carrai, Lotti e Boschi erano “componenti del consiglio direttivo della Fondazione Open, riferibile a Renzi Matteo (e da lui diretta)”. E dunque per i pm all’ex premier viene contestato il reato di finanziamento illecito ai partiti come direttore “di fatto” della stessa fondazione. Renzi, Bianchi, Carrai, Lotti e Boschi sono indagati per l’ipotesi di reato di finanziamento illecito ai partiti perché “ricevevano, in violazione della normativa citata, i seguenti contributi di denaro che i finanziatori consegnavano alla Fondazione Open; somme utilizzate per sostenere l’attività politica di Renzi, Lotti e Boschi e della corrente renziana”. Si tratta, come detto, di un totale di 3.567.562 euro dal 7 novembre 2014 all’11 luglio 2018. Solo nel 2016 1,4 milioni.
La questione del finanziamento illecito – Nelle ultime settimane Renzi e i suoi fedelissimi hanno cercato di bollare l’inchiesta come un “processo mediatico“, un “abuso” e una “barbarie“. L’ex premier ha attaccato alcuni quotidiani – a cominciare dal Fatto – che hanno pubblicato alcuni atti depositati dalla procura a disposizioni delle parti, quindi accessibili da settimane da parte degli avvocati degli indagati. Particolare clamore hanno sollevato gli articoli sulla cosiddetta “Bestia” del Giglio magico, cioè la struttura social che – a leggere le informative della Guardia di Finanza – aveva il compito di fare propaganda per Renzi tra il 2016 e il 2018. Questo particolare ha una rilevanza nell’indagine, perché il fatto che Open finanziasse la “Bestia viola” è uno degli elementi che gli investigatori portano a sostegno della tesi che la fondazione operasse come articolazione di partito. In tal caso, infatti, deve rispettare gli stessi obblighi di trasparenza imposti ai partiti. Per questo motivo gli inquirenti sono molto interessati al verbale di scioglimento di Open: nella versione originaria Bianchi mette nero su bianco che dopo la sconfitta al referendum del 2016, le politiche del 2018 e le dimissioni di Renzi da segretario del Pd, la fondazione ha esaurito le sue finalità. Per lo stesso motivo la Guardia di Finanza pone pure l’accetto sulla fretta manifestata dallo stesso presidente nel gennaio del 2019, quando comunicherà a Boschi e Lotti la necessità di concludere la liquidazione di Open prima dell’entrata in vigore della legge Spazzacorrotti.
Beni per mezzo milione – L’equiparazione della fondazione a un partito politico è alla base delle contestazioni di finanziamento illecito che la procura fa a Bianchi, Lotti, Boschi e Marco Carrai, in quanto componenti del consiglio direttivo di Open, fondazione che considera “riferibile a Renzi (e da lui diretta)”. Pure l’ex premier è indagato per questo reato. Sotto accusa ci sono 3.567.562 euro donati dai finanziatori a Open e usati per sostenere l’attività politica dell’ex premier, della sua ex ministra delle Riforme e dell’ex sottosegretario alla presidente del consiglio tra il 2014 e il 2018. Renzi, Lotti e Boschi sono accusati di aver ricevuto contributi in forma diretta, che consistevano in benefit erogati dalla stessa Open, ma pagati con finanziamenti che per la procura violano la legge. Secondo le informative agli atti dell’inchiesta, Renzi ha usufruito di “beni e servizi” del valore di 548.990 euro, pagati dalla fondazione tra il 2012 e il 2018: mezzo milione in sei anni e mezzo. Nell’elenco delle spese c’è di tutto: biglietti aerei, del treno, cellulari, ipad, abbonamenti telefonici, pranzi e “spuntini”, persino 7,5 euro di rimborso, motivati in nota spese nel gennaio del 2014 con “Auguri Natale Quirinale“. Molto inferiori le cifre usate da Open per Lotti e Boschi: quasi 27mila euro per il primo, 5.900 per la seconda.
Il caso del tabacco – Nell’inchiesta ci sono anche alcune accuse di corruzione che la procura rivolge a Lotti, Bianchi e a Giovanni Caucci e Gianluca Ansalone, questi ultimi due manager della British American Tobacco. La storia è quella “dell’emendamento morto“, per usare la frase dello stesso Lotti. La norma in questione era stata depositataalla legge di bilancio del 2017 e impegnava il governo ad aumentare le accise sul tabacco. L’emendamento saltò all’ultimo. Secondo la procura, in cambio Bat ha donato a Open poco più di 253mila euro in totale negli anni 2014, 2015 e 2017. Ma ha anche affidato due incarichi di consulenza da 83mila euro a Bianchi. Quella fattura, però, per la procura è falsa come fittizia è – secondo l’accusa – la prestazione professionale dell’avvocato, che versò poi il ricavato, al netto delle imposte, alla fondazione. Bat ha anche nominato nel suo collegio sindacale Lorenzo Anichini, già tesoriere del Comitato Basta un Sì.
Il ruolo del gruppo Toto – Un’altra accusa di corruzione riguarda la questione della Toto costruzioni generali. In pratica, i pm contestano a Lotti di essersi “ripetutamente adoperato, nel periodo temporale 2014-giugno 2018, affinché venissero approvate dal Parlamento disposizioni normative favorevoli al gruppo Toto”, titolare di concessioni autostradali. Agli atti ci sono tutta una serie di chat – tra Lotti e Bianchi e tra quest’ultimo e Alfonso Toto, ceo dell’omonimo gruppo – che secondo gli investigatori rappresentano “un chiaro collegamento tra l’attività di ‘promozione legislativa‘, di cui Lotti è stato il terminale ultimo, e le richieste avanzate da Toto”. L’imprenditore parlava col presidente di Open, che discuteva con l’allora ministro del governo di Paolo Gentiloni. Il 26 maggio del 2017 Bianchi scrive a Lotti: “Mi dicono – scrive – che avanzano qualche critica dal Mef sul numero di rate, purtroppo investimento non comprimibile, occorrono tutte e 4″. Il 27 novembre Lotti invia una bozza di emendamento che rimodula il contributo per interventi di ripristino e messa in sicurezza sulla tratta autostradale A24 e A25, gestite da Strada dei parchi, di proprietà del gruppo. Ma a Bianchi non va bene: “No buono. Non tiene conto della versione Mitdi ieri, che andava bene con un aggiunta. Ti giro per mail su matteorenzi il testo giusto, la prima Parte è tutta Mit la seconda serve per consentire disponibilità immediata somma, altrimenti devono sospendere i lavori”. Lotti ci riprova il 5 dicembre, ma arriva un nuovo pollice verso dall’avvocato: “Questa non passa, Luca. Mef contrario. La prima parte passa, la seconda no. Lo spiegherò a T“. Chi è T? Forse Toto? In questa fase l’obiettivo di Bianchi è raddoppiare i 50 milioni della messa in sicurezza e anticiparli: non dal 2021 ma dal 2017. Come è andata a finire? “Il testo finale approvato non accoglie tutte le modifiche auspicate, ma consente un’autorizzazione di spesa che rimodula quanto stabilito”, scrive la Finanza. Quindi 58 milioni nel 2018, 50 nel 2021 e 8 milioni nel 2022.
La lettera di Bianchi a Lotti: “Ho dato i soldi a Open” – In cambio di questa “promozione legislativa”, il gruppo Toto ha versato a Bianchi 801.600 euro a fronte di una “prestazione professionale fittizia“. Denaro poi in parte girato da Bianchi alla fondazione Open e al Comitato che sosteneva il Sì al referendum costituzionale del 2016. È un caso che Toto avesse ingaggiato il presidente della Open come consulente legale e che quest’ultimo si sia mosso su Lotti per spingere norme favorevoli al suo cliente? Per gli inquirenti no. E per dimostrarlo allegano alle carte anche un appunto, sequestrato a Bianchi e indirizzato allo stesso Lotti:”Luca, sulla base dell’accordo con Toto, ho avuto 750k. Sulla base dell’accordo con British American Tobacco, riceverò a breve 80k. In conclusione, ricevo/ricevero 830k. Ho chiesto a suo tempo al commercialista qual era il netto di questo importo, in modo da versare quello a Open/Comit Sì (il resto sono tasse, che verso invece io allo Stato). Come risulta dall’all. 1, il commercialista mi ha detto che il netto di 830k è pari a euro 400.838,00. Ho dunque provveduto a versare per intero detta somma (come risulta dagli all. 2 e 3) in parte (200k) al Comitato nazionale per il Sì, in parte (200.838,00 euro) alla Fondazione Open“.
Segnaliamo che, in data 13 gennaio 2023, il gip del Tribunale di Firenze ha disposto l’archiviazione del procedimento nei confronti di Lino Bergonzi e degli altri, che risultavano indagati nel filone dell’inchiesta relativo al presunto traffico di influenze, a cui fa riferimento il presente articolo.