La nuova strategia di Joe Biden: frenare sul Keystone XL, ritirare il sostegno da EastMed, ma poi accettare l'oleodotto russo-tedesco NordStream 2. Lungo 1.200 miglia il gasdotto Eastmed sarebbe in grado di portare 10 miliardi di metri cubi di gas naturale dal giacimento israeliano Leviathan e dal Tamar offshore in Europa, con approdo finale in Puglia
Mettere un freno all’oleodotto americano Keystone XL, ritirare il sostegno da EastMed, ma poi accettare l’oleodotto russo NordStream 2. La strategia degli Usa sul dossier energetico si presenta quanto mai mutilaterale in un momento caratterizzato da un lato dall’esigenza europea di diversificare i possibili canali di approvvigionamento e, dall’altro, di prepararsi all’eventualità che Mosca possa chiudere improvvisamente i rubinetti del gas in caso di sviluppi negativi della crisi Ucraina. Il no al gasdotto lungo la tratta Israele-Italia (EastMed), tuttavia, porterebbe l’Ue nelle braccia russe.
La strategia Usa sull’energia si specchia nelle vite quotidiane di cittadini europei che osservano i prezzi del gas salire e punta a compensare le forniture che altrimenti proverrebbero dalla Russia nel Mediterraneo. Il gruppo Chevron è tornato player principale nel mare nostrum, con Exxon impegnata nelle trivellazioni a Cipro, proprio per il gasdotto Eastmed su cui però stanno incidendo anche altre valutazioni. Il Dipartimento di Stato ha inviato a novembre il suo nuovo consigliere per la sicurezza energetica globale Amos Hochstein in Israele per allertare Tel Aviv sulle nuove stretegie. I democratici alla Casa Bianca hanno fatto alcune scelte in materia energetica che appaiono incerte. Il no al gasdotto Eastmed significa per l’Europa continuare ad essere dipendenti dalla Russia e il sì al Nord Stream 2 (per non troncare con Berlino) significa dare ancora più potere negoziale a Gazprom e quindi Mosca.
Riflessi geopolitici – In questo scenario impattano il prezzo di carburanti e gas e le dinamiche geopolitiche, visto che l’unico soggetto ad accogliere con entusiasmo un no all’Eastmed sarebbe il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. C’è un piccolo giallo nelle relazioni diplomatiche tra Washington e Ankara: il neo ambasciatore americano in Turchia, Jeff Flake, ex senatore repubblicano anti-Trump e vicino a Biden, ha recentemente rivisto le sue posizioni negazioniste circa il genocidio armeno, tema su cui le sensibilità di Erdogan sono un elemento cruciale: nel 2005, 2007, 2010 e 2014 Flake aveva votato contro i progetti di legge del Congresso che riconoscevano apertamente il genocidio. Ma pochi mesi prima della nomina, quando il presidente della commissione per le relazioni estere del Senato, Bob Menendez, gli ha chiesto se avesse cambiato posizione ha risposto di sì.
Eastmed, chi non lo vuole e perché – Certamente il gasdotto Eastmed è un’opera infrastrutturale costosa, da 6,8 miliardi di dollari (6 miliardi di euro), per un progetto che ha già visto le firme di Israele, Cipro e Grecia. Lungo 1.200 miglia sarebbe in grado di portare 10 miliardi di metri cubi di gas naturale dal giacimento israeliano Leviathan e dal Tamar offshore in Europa, con approdo finale in Puglia. Il vantaggio sarebbe quello di controbilanciare forniture che arriverebbero altrimenti dalla Russia. Contro la decisione della Casa Bianca di ritirarsi dall’Eastmed si sono schierati i deputati Gus Bilirakis (Florida) e Nicole Malliotakis (New York) che hanno scritto al Segretario di Stato americano Antony Blinken: “L’amministrazione – si legge – deve rendersi conto delle significative implicazioni economiche, ambientali e di sicurezza nazionale che sono in gioco in questa materia e riconsiderare la sua decisione di ritirare il sostegno a questo progetto critico”. Al contempo la diplomazia americana a Gerusalemme ha dichiarato la scorsa settimana che gli americani “rimangono impegnati per la sicurezza energetica e la connettività del Mediterraneo orientale”. Ma di fatto le relazioni che si erano intensificate sul gas tra Egitto, Israele, Grecia e Cipro rischiano di restare monche.