La Procura di Roma ha chiuso le indagini sull’omicidio dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci, uccisi in Congo il 22 febbraio 2021 nel territorio del parco nazionale di Virunga, nella regione del Nord-Kivu, da un gruppo armato in un tentativo di sequestro. A rischiare il processo, dopo l’indagine coordinata dal procuratore aggiunto Sergio Colaiocco, sono due dipendenti del Programma alimentare mondiale (Pam), l’agenzia dell’Onu che si occupa di assistenza alimentare: oltre al security officer Mansour Rwagaza, il nome nuovo è quello di Rocco Leone, vice respondabile del Pam nel Congo orientale. Entrambi sono accusati di omicidio colposo. L’avviso di conclusione indagini è stato notificato loro dai Carabinieri del Reparto operativo speciale (Ros). Rwagaza è difeso dall’avvocata Alessandra Mocchi, Leone da Fabiana Massaro.
Nel comunicato stampa diffuso dai magistrati si legge che “la Procura ha ritenuto di aver raccolto elementi idonei a contestare il delitto (…) agli organizzatori della missione nel Nord Kivu del 22 febbraio 2021, i quali avrebbero omesso per negligenza, imprudenza e imperizia – secondo la ricostruzione effettuata allo stato, che risulta in linea con gli esiti dell’inchiesta interna dell’Onu – ogni cautela idonea a tutelare l’integrità fisica dei partecipanti alla missione Pam che percorreva la strada RN2 sulla quale, negli ultimi anni, vi erano stati almeno una ventina di conflitti a fuoco tra gruppi criminali ed esercito regolare”.
“Allo stato degli atti” – prosegue la nota – “sono stati raccolti elementi secondo cui gli indagati avrebbero attestato il falso, al fine di ottenere il permesso dagli uffici locali del Dipartimento di sicurezza dell’Onu, indicando nella richiesta di autorizzazione alla missione, al posto dei nominativi dell’ambasciatore Attanasio e del carabiniere Iacovacci, quelli di due dipendenti Pam così da indurre in errore gli uffici in ordine alla reale composizione del convoglio”. E ciò “in quanto non avevano inoltrato la richiesta, come prescritto dai protocolli Onu, almento settantadue ore prima”. Inoltre “avrebbero omesso, in violazione dei protocolli Onu, di informare cinque giorni prima del viaggio la missione di pace MONUSCO che è preposta a fornire indicazioni specifiche in materia di sicurezza informando gli organizzatori della missione dei rischi connessi e fornendo indicazioni sulle cautele da adottare (come una scorta armata e veicoli corazzati)”.
Infine, “avrebbero omesso di predisporre le cautele richieste dalla classificazione di rischio attribuita al percorso da effettuare che, pur avendo dei tratti classificati “verdi”, cioè a rischio basso, aveva anche delle parti classificate “gialle”, cioè a rischio medio, che avrebbero imposto di indossare, o di avere prontamente reperibili, il casco e il giubbotto antiproiettile“; e “avrebbero omesso – in presenza di un ambasciatore che, rappresentando il proprio Paese, costituisce soggetto particolarmente a rischio – di approntare ogni utile ulteriore misura di mitigazione del rischio“. L’ufficio, conclude il comunicato, “prosegue l’attività di indagine per il reato di sequestro di persona a scopo di terrorismo, finalizzate a identificare i componenti del gruppo di fuoco, anche attraverso le due rogatorie già inoltrate alla Repubblica democratica del Congo”.