di Alessandro Pezzini
Non c’è dubbio che siano i giorni di Papa Francesco a Che Tempo Che Fa, un’intervista che ha stranamente suscitato molte polemiche. I social sono divisi tra chi critica “da destra” e chi “da sinistra”. Da destra, si pone l’attenzione sul lauto stipendio di Fabio Fazio e sul fatto che Papa Francesco non si presenti con l’austerità tipica della tradizione cristiana. Da sinistra, si accusa lo stesso Fazio di non aver posto domande pungenti al Papa, magari sullo Ior, sull’Imu, sull’incursione vaticana nella fase di voto al ddl Zan o sugli scandali dovuti ai tanti e terribili episodi di pedofilia all’interno della Chiesa cattolica, in Italia e nel mondo. Lascio ai social il dibattito.
In merito a quest’ultimo tema vorrei porre però l’attenzione sulla lettera inviata dal Papa emerito Benedetto XVI in risposta alle accuse di pedofilia nell’Arcidiocesi di Monaco e Frisinga, nella Germania del fu Joseph Ratzinger. All’interno di questa lettera, Papa Benedetto compie un’azione di notevole importanza, all’interno della discussione – quantomeno quello costruttiva – su una questione di priorità assoluta, che rappresenta forse la prova da superare da parte della Chiesa all’interno del pezzo di storia di cui siamo parte. Dopo aver espresso gratitudine verso chi ha mostrato vicinanza nei suoi confronti, il Papa emerito ha infatti pubblicamente chiesto scusa per quanto accaduto. Questo gesto è di una grandezza e di un’utilità assolute e può solo essere apprezzato.
Visto che siamo freschi di Sanremo, abbasso un po’ il livello citando Lorenzo Jovanotti che, in un suo brano, dice: “Quando sarò vecchio, di sbagli inevitabili ne avrò fatti duecento e per quelli che io ho fatto apposta, non sarò certo lì a offrir risarcimento”. Nessuno oserebbe mai dare la colpa degli abusi sui minori tedeschi a Benedetto XVI ma qualcuno, ragionevolmente, potrebbe affermare che il Papa emerito possa avere avuto, in questa triste storia, alcune responsabilità. Ed è proprio per questo motivo e con questa consapevolezza che ha fatto pubblica ammenda invocando, da buon cattolico e grande teologo, le preghiere di tutti.
“(…) posso solo esprimere nei confronti di tutte le vittime di abusi sessuali la mia profonda vergogna, il mio grande dolore e la mia sincera domanda di perdono. Ho avuto grandi responsabilità nella Chiesa cattolica. Tanto più grande è il mio dolore per gli abusi e gli errori che si sono verificati durante il tempo del mio mandato nei rispettivi luoghi”. Con queste parole da un uomo lucido, come ultimo grande atto, si assume le sue responsabilità e chiede perdono di non aver vigilato al mondo intero e a ogni singola vittima di abusi compiuti da chi ha tradito la fiducia di giovanissimi fedeli mettendo in atto gli atti più schifosi possibili su corpi e anime innocenti.
Ma dov’è la grandezza di questo gesto? Parlo per me, nella convinzione di fotografare la realtà di molti: io fatico a chiedere scusa per sciocchezze della quotidianità, sia all’interno di un battibecco nato per futili motivi o in una discussione più accesa. Ma immagino che se io fossi il Papa (e quindi a capo della realtà conservatrice per antonomasia, con una storia lunga duemila anni) e mi accingessi a trovarmi “di fronte al giudice ultimo della mia vita”, oltretutto se fossi “emerito” e quindi avessi le giustificazioni per non espormi più alla gogna mediatica, tutto potrebbe suggerirmi di godermi in santa pace gli ultimi anni della mia vita. E invece no, Benedetto XVI ha voluto “confessarsi” e chiedere perdono.
La Chiesa insegna a perdonare gli errori altrui. Oggi ha insegnato di poter anche chiedere perdono per i propri. Grazie, Benedetto. Hai scritto una bellissima pagina all’interno di un libro in cui altre volte non si sono trovati contenuti così trasparenti.