Cinque violazioni del cessate il fuoco nella sola giornata di lunedì e una quotidiana recrudescenza che spaventa. Mentre le diplomazie tentano di evitare un’escalation nella crisi russo-ucraina, la guerra in realtà miete vittime già da 8 anni. È quella che si combatte ogni giorno nella regione sud-orientale del Donbass, nell’indifferenza della comunità internazionale. Uno scontro fratricida nel cuore dell’Europa, a poco più di due ore di volo dalle principali capitali del continente, che ha causato 14mila morti e che non sembra destinato ad attenuarsi. I dati dell’Osce, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, sono preoccupanti: nell’ultimo mese del 2021 gli attacchi si sono quintuplicati rispetto a dicembre 2020. Non solo: se nel primo trimestre dell’anno scorso le violazioni erano state 8.700, fra aprile e giugno se ne sono contate 27mila e negli ultimi tre mesi del 2021 quasi 37mila fra artiglieria, mortai e carri armati. Gli interventi delle organizzazioni umanitarie sulla linea di contatto sono tornati a essere fondamentali come a inizio guerra, quando esercito regolare e separatisti filorussi combattevano casa per casa, in mezzo alla gente, distruggendo abitazioni, uccidendo persone, dividendo famiglie.
Kiev ricorda che nell’ultimo anno e mezzo sono morti 72 militari ucraini e più di 270 sono rimasti feriti. È più complessa la conta sull’altro fronte, mancando dati ufficiali, ma è probabile che anche fra gli indipendentisti si registrino altrettanti caduti. Dall’inizio della guerra, fa sapere il ministero della Difesa ucraino, almeno 1.300 militari sono rimasti vittime di esplosioni e quasi 300 sono stati uccisi. C’è chi lo chiama un conflitto ibrido, chi la considera una guerricciola di secondo piano, ma per le famiglie dei caduti, le decine di migliaia di abitanti sulla linea del fronte ed il milione di profughi è una vera catastrofe.
La missione di monitoraggio dell’Osce ha rilevato in queste ore un aumento di armi in tutta l’area: 22 lanciarazzi multipli e 10 obici sono stati individuati nella regione di Lugansk, che assieme alla Repubblica di Donetsk rappresenta una delle due entità separate dall’Ucraina. Due staterelli non riconosciuti da nessuno, nemmeno dalla Russia che però, de facto, li mantiene in vita. Gli osservatori hanno contato anche 61 carri armati e 6 cannoni anticarro vicino a Myrne e nelle zone limitrofe, tuttora fuori dal controllo centrale. Il governo ucraino ribadisce l’ingerenza di Mosca nella questione Donbass ed il continuo invio non solo di armamenti ma anche di militari, oltre a gruppi di volontari. Putin, dal canto suo, ha accusato Kiev proprio in queste ore di avere concentrato nel Donbass un raggruppamento di 100-125 mila uomini ed il sospetto del Cremlino è che gli armamenti giunti in Ucraina da Stati Uniti, Gran Bretagna, Paesi Baltici e Polonia possano servire non come difesa ma per riprendersi il Donbass.
La scintilla per una guerra totale potrebbe partire proprio da qui, più che da un’invasione tout court dell’Ucraina. È proprio per questo che le cancellerie europee insistono per rimettere in agenda gli accordi di Minsk, siglati per la prima volta nel 2014, rivisti l’anno dopo ma in realtà mai messi in pratica da nessuna delle due parti, nonostante un ulteriore cessate il fuoco ratificato nel 2020 dal cosiddetto Quartetto Normandia (Russia, Ucraina, Francia e Germania). In Bielorussia si decise di far tacere le armi, lo scambio dei prigionieri, il ritiro delle forze straniere e di tutta l’artiglieria pesante, un nuovo assetto costituzionale che concedesse maggiore autonomia alle regioni filorusse del Donbass ed altre misure puntualmente disattese. Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha confermato nei giorni scorsi che l’Ucraina sta attuando gli accordi di Minsk e la Russia no. Mosca sostiene il contrario. La sensazione è che nessuna delle due parti si sia realmente attivata per ripristinare la pace e che la “guerra dimenticata” nel cuore dell’Europa durerà ancora a lungo.