“Si può senz’altro ritenere dimostrato” sulla base degli atti e dell’udienza preliminare che le investigazioni abbiano permesso di “disvelare una complessa, continuativa e insistita attività illecita legata al delicato tema degli affidi di minorenni, di competenza dell’Unione Comuni Val d’Enza”. Attività delittuose “svolte anche in forma concorsuale, da parte di alcuni degli imputati”. È quanto scrive il Gup di Reggio Emilia Dario De Luca motivando la sentenza di ‘Angeli e Demoni’ che ha condannato a 4 anni in abbreviato lo psicoterapeuta Claudio Foti per abuso d’ufficio e lesioni gravissime, mentre 17 persone sono rinviate a giudizio. Foti è stato assolto dalla frode processuale perché “non vi sono elementi dai quali poter ricavare con certezza il suo intento consapevolmente ingannatorio” del ctu e del giudice minorile.
Nel motivare la sussistenza dell’abuso d’ufficio, il giudice scrive che il servizio di psicoterapia venne affidato “di fatto” dall’Unione Comuni Val d’Enza alla Sie Srl/Hansel&Gretel, facente capo a Foti, “in spregio alle specifiche regole di condotta contenuta nelle normative in materia”. Senza dubbio, per il giudice di Reggio Emilia, Foti, concorrente esterno del reato, partecipò attivamente alla realizzazione di questo affidamento che gli ha consentito di “procurarsi un ingiusto vantaggio patrimoniale”. Un reato di cui risponde, in concorso, anche il sindaco di Bibbiano Andrea Carletti, rinviato a giudizio. Il vantaggio per Foti è consistito, riassume il gup, nella percezione indebita di denaro pubblico, fatturando il prezzo di 135 euro per ogni seduta oltre che nell’utilizzo dei locali de ‘La Cura’ (struttura pubblica) senza averne titolo, locali ai quali invece gli psicoterapeuti della Onlus Hansel e Gretel avevano libero e incondizionato accesso. Il giudice parla anche di “cervellotico, certamente inusuale”, sistema attraverso cui veniva retribuita la psicoterapia, cioè con fatture per le sedute emesse nei confronti delle famiglie affidatarie, che pagavano alla Sie srl il corrispettivo indicato, ricevendo poi dal servizio sociale un contributo mensile maggiorato del costo sostenuto per la terapia. Per il giudice Foti era “certamente e pienamente consapevole dell’illegittimità del servizio di psicoterapia”, dei prezzi praticati per ogni seduta e “della stranezza del meccanismo ideato per i pagamenti”.
Per quanto riguarda il reato di lesioni volontarie gravi ai danni di una minore, il giudice scrive che con l’utilizzo “improprio” della Emdr, la cosiddetta macchina dei ricordi e con il progredire della terapia non solo si instillò in una minorenne “il ricordo dell’abuso, ma anche il dubbio che a perpetrare tale violenza potesse essere il padre”. Si sarebbero generati, così, in lei una “grandissima sofferenza e un fortissimo disagio” tali da condurla, nel 2018, “completamente fuori controllo”. “Quello che poteva e doveva essere un aiuto e una cura”, cioè la terapia “si è rivelato invece causa di ulteriore sofferenza”. Secondo il giudice “è innegabile che sia riuscito a alterare lo stato psicologico della minore convincendola della malignità del padre” e questa condotta, reiterata nel tempo, ha provocato in lei disturbo di personalità borderline e disturbo depressivo con ansia, accertati dal consulente tecnico del pm. A fronte “dei numerosi eventi sfavorevoli che hanno segnato la crescita” della ragazzina “la psicoterapia, che avrebbe potuto e dovuto trattare questi eventi si è invece esclusivamente concentrata sull’emersione del tema dell’abuso, andando da un lato a generare la grandissima sofferenza interiore legata alle rivelazioni indotte sul padre e dall’altro a far progredire il disagio della ragazza relativamente a tutti gli altri eventi non trattati dalla psicoterapia”.
Lo psicoterapeuta Foti, conclude il giudice, “non solo non ha mai mostrato segni di resipiscenza, ma ha costantemente tenuto un comportamento processuale ampiamente censurabile”. In particolare il giudice segnala che l’imputato tentò di ingannarlo producendo il video di una seduta di psicoterapia “verosimilmente di novembre 2016, spacciandola per una di aprile 2016“. La scorretta collocazione temporale sarebbe stata volta a accreditare, “con tale deprecabile espediente” la tesi difensiva secondo cui una minorenne “autonomamente e a prescindere dall’intervento dello psicoterapeuta già vedeva il padre come una figura abusante”.