Oro estratto illegalmente in Brasile finiva nei magazzini di un’azienda leader italiana ed europea nel commercio di metalli preziosi, la Chimet Spa, con sede nell’Aretino. A svelare lo smercio è stata un’inchiesta della Polizia Federale che ha indagato su una complessa organizzazione criminale di estrazione illegale che opera nel sud del Pará, per la precisione nelle terre indigene Kayapó, come riporta Folha de S.Paulo. Proteste da parte di Europa Verde che chiede ulteriori accertamenti: “Questa vicenda va chiarita e per questo abbiamo inviato un esposto alla procura della Repubblica di Arezzo”, ha dichiarato il co-portavoce nazionale, Angelo Bonelli.
Secondo quanto si legge, il meccanismo criminale è stato smascherato in ottobre con l’operazione Terra Desolata, quando sono stati emessi 12 mandati di cattura, oltre al blocco di 469 miliardi di Real (circa 78 miliardi di euro) in diversi conti. Oggi, tre mesi dopo, i detenuti vengono però rilasciati tramite habeas corpus. “Gli acquisti in questione sono stati sempre accompagnati da documentazione che attesti la lecita provenienza del metallo”, ha risposto la società in una nota, pur ammettendo “il rischio che effetti negativi possano essere associati al commercio ed esportazione di minerali da zone ad alto rischio”. L’azienda sul proprio sito si descrive infatti come “ecocompatibile” e titolare di certificati di sostenibilità “per la sua azione responsabile”.
Il Brasile, in questo caso, è considerata “zona ad alto rischio” dall’azienda per la facilità con la quale si può nascondere la reale origine dell’oro, oltre che per la fragilità del vigilanza da parte dell’Anm (l’Agenzia Nazionale Mineraria) e di altri organismi. Le fatture che certificano l’origine del minerale sono infatti compilate su carta dal venditore che può facilmente mentire sul luogo di provenienza del minerale. “Purtroppo, l’oro illegale è una realtà sul mercato europeo. Le aziende acquistano oro di provenienza illegale”, ha dichiarato al giornale Nunzio Ragno, presidente di Antico (l’Associazione Italiana dell’Oro).
Dall’inchiesta emerge che Chimet acquista il prodotto dalla brasiliana CHM con la quale ha una partnership “affermata da decenni” attraverso i soci Mauro Dogi e il figlio Giacomo, italiani ma residenti in Brasile. Entrambi sono descritti come “i principali destinatari di oro illegale dalle terre indigene della regione”, secondo il rapporto della Polizia federale. Mauro Dogi una volta era un dipendente Chimet nella sua fabbrica di Arezzo. Tra settembre 2015 e settembre 2020, Chimet ha pagato a CHM l’equivalente di 317 milioni di euro per acquistare circa una tonnellata di metallo. CHM, a sua volta, ha acquistato il metallo da Cooperouri (Cooperativa de Garimpeiros e Mineradores de Ourilândia e Regione) che, secondo chi indaga, estrae oro dal territorio indigeno. Lo dimostrano i 25 depositi di denaro che l’azienda di Dogi ha fatto alla cooperativa nell’arco di un anno. Oltre ad estrarre direttamente da un’area vietata, Cooperouri acquisisce anche il metallo da intermediari clandestini operanti nella stessa regione. Il trasferimento del materiale, infine, avviene “su voli di imprese private, all’insaputa delle autorità competenti, senza passare per il Sistema Integrato di Commercio All’estero (Siscomex)”.
In una dichiarazione, CHM ha negato di aver acquisito oro dalle terre indigene e ha affermato che le sue acquisizioni erano state fatte “da
cooperative in grado di estrarre nei rispettivi territori” che hanno sempre “presentato la documentazione prevista dalla legge e necessari per svolgere le sue attività”.
“La polizia federale brasiliana ha terminato un’inchiesta che ha scoperto un traffico di oro illegale nelle terre indigene Kayapò dello Stato brasiliano del Para’ che avrebbe rifornito imprese europee di gioielli e metalli preziosi tra cui l’italiana Chimenta spa”, ha commentato il co-portavoce nazionale di Europa Verde, Angelo Bonelli, che poi ha concluso: “Questa vicenda va chiarita e per questo abbiamo inviato esposto alla Procura della Repubblica di Arezzo affinché si apra un’inchiesta per verificare se le accuse della polizia federale trovino riscontro in Italia. Difendere le terre indigene, la biodiversità, da chi distrugge la foresta amazzonica e i suoi popoli in nome dell’oro deve essere una priorità di una nazione civile e democratica”.