L'ultima versione della norma su Palazzo dei Marescialli vieta ritorno alle funzioni di pm e giudice solo per i magistrati che si candidano alle elezioni. Non vale, invece, per i tecnici, cioè per quei magistrati che vengono nominati nelle giunte comunali, regionali, o persino al governo come ministri o sottosegretari. E' il caso del sottosegretario Garofoli e della ministra Lamorgese. No di 5 stelle, Carroccio e berlusconiani. Gli emendamenti con il testo della riforma saranno discussi venerdì mattina in Consiglio dei ministri
La modifica voluta da Mario Draghi alla riforma del Csm scatena le ire dei 5 stelle, della Lega e persino di Forza Italia. Quasi tutta la maggioranza di governo si è rivoltata contro l’ultima versione della norma su Palazzo dei Marescialli. A scatenare i partiti è la parte della legge che prevede il divieto per i magistrati che entrano in politica di tornare poi indietro a vestire la toga. Una norma che – sulla carta – trovava tutti d’accordo. Soprattutto i 5 stelle, che due giorni fa – come gli altri partiti – erano stati convocati dalla ministra per discutere della norma su Palazzo dei Marescialli. Sulle porte girevoli, facevano sapere gli esponenti M5s, la guardasigilli aveva garantito di voler lasciare l’impianto della riforma di Alfonso Bonafede: un magistrato che entra in politica non può tornare a fare il pm o il giudice.
La versione della riforma Cartabia, però, era diversa. Se ne è accorto poco dopo Enrico Costa, deputato di Azione lontanissimo dalle posizioni dei 5 stelle: “Tutti i giornali titolano che non ritorneranno in toga i magistrati che hanno fatto politica. M5S esultano. Basta scavare un po’ e si scopre che un magistrato potrà tranquillamente fare l’assessore regionale, il ministro o il sottosegretario e tornare a fare il Pm (dopo 5 anni)”, ha twittato già due giorni fa. La guardasigilli, insomma, ha spiegato a Costa che la sua norma prevede di vietare il ritorno alle funzioni di pm e giudice solo per i magistrati che si candidano alle elezioni. Non vale, invece, per chi ricopre incarichi politici ma non eletti, cioè per quei magistrati che vengono nominati nelle giunte comunali, regionali, o persino al governo come ministri o sottosegretari. Un grosso problema visto che in questo modo la strada per tornare a vestire la toga sarebbe sbarrata per i magistrati che si candidano e magari non vengono eletti. Al contrario chi fa parte di organi esecutivi poi può tornare tranquillamente a fare il giudice.
“Per noi non va assolutamente bene. Non esistono motivazioni giuridicamente e politicamente valide per queste esenzioni. Si tratterebbe solo di norme ‘ad personam’ e ne abbiamo già avute abbastanza in passato”, dice la responsabile Giustizia del M5s, Giulia Sarti. Stessa posizione anche per Giulia Bongiorno, responsabile Giustizia ed ex ministra del Carroccio: “La Lega è contraria al tema delle cosiddette porte girevoli: una volta che un magistrato decida di entrare in politica non può più ritornare a vestire la toga”. Pure Forza Italia, dopo aver incontrato Cartabia, si è detta contraria a questa parte della riforma: “Chiediamo non si possa essere candidati, deputati o consiglieri comunali e regionali, e poter poi fare ritorno immediatamente nella magistratura. Se si è candidati occorre un periodo di tempo prima di poter esercitare nuovamente la funzione di magistrato. Se si è eletti, non si può tornare a fare il magistrato, ma si può lavorare al ministero o ricoprire altri incarichi pubblici dello stesso livello”, ha detto Antonio Tajani. Il numero due di Forza Italia, tra l’altro, annuncia che i suoi ministri “non potranno votare se non c’è un testo scritto che può essere esaminato e studiato in maniera approfondita”.
Insomma: quasi tutti i partiti che fanno parte della maggioranza di governo – a parte il Pd e Leu – sono contrari all’ultima versione della riforma sul Csm. Un bel problema visto che gli emendamenti del governo alla legge Bonafede – e quindi, cioè, il testo della riforma di Palazzo dei Marescialli che andrà depositato in commissione giustizia – dovrebbero essere esaminati domattina alle 9 e 30 in Consiglio dei ministri. Ma viste le posizioni di Lega, M5s e Forza Italia è improbabile che il Cdm licenzi la riforma così come è. E’ probabile, dunque, che nelle prossime ore via Arenula intervenga sul testo. Il problema, da quello che trapela, è che quella norma sulle porte girevoli che consente ai tecnici prestati alla politica di tornare a indossare la toga è stata chiesta direttamente dal presidente del consiglio. “È una decisione di Draghi” è quello che, secondo il quotidiano La Stampa, si è sentito rispondere Costa da Cartabia e da Antonio Funicello, capo di gabinetto del premier.
Sempre secondo La Stampa, tra i partiti si è diffusa una convinzione: la versione light delle porte girevoli tra magistrati e politica è stato discussa dalla ministra con Roberto Garofoli, potente sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Giudice amministrativo, Garofoli ha sempre avuto molti incarichi nei ministeri: fino al 2018 era capo di gabinetto del ministero dell’Economia. Poi ha dato le dimissioni dopo essere entrato in contrasto con i 5 stelle, tornando a lavorare al consiglio di Stato come presidente di sezione. Quindi è tornato al governo con Draghi. La modifica che concede ai magistrati nominati dalla politica – e dunque non eletti – di tornare a vestire la toga riguarda dunque direttamente lo stesso Garofoli. E pure Luciana Lamorgese, la ministra dell’Interno che è pure consigliere di Stato. Da Palazzo Chigi fanno notare come la riforma non è retroattiva: non riguarda dunque il passato di Garofoli e Lamorgese. Varrebbe, però, per il futuro: quale magistrati accetterebbero incarichi politici – che sono a tempo – sapendo di non poter tornare a vestire la toga? Su questo punto i partiti sembrano fare muro. E dunque, come già era avvenuto ai tempi della riforma del processo penale, sarà probabilmente il premier a muoversi per provare a trovare un accordo. Infatti fonti dell’Esecutivo assicurano che in Cdm le proposte saranno illustrate direttamente dal premier ai partiti. E in serata da Palazzo Chigi è filtrata anche la possibilità di modificare quella norma sulle porte girevoli, tornando alla precedente versione della riforma Bonafede.