La prima e unica volta che il Canada partecipò a un Mondiale, nel 1986 in Messico, aveva come proprie stelle Igor Vrablic e Tino Lettieri. Il primo era un attaccante che aveva tentato l’avventura in Europa, finendo a languire nei bassifondi del campionato belga con il Seraing, faticando a segnare lo straccio di un gol. Il secondo proveniva da Bari, era immigrato con la famiglia a Vancouver ed era un portiere noto nella NASL (il campionato americano dell’epoca) perché era solito appoggiare vicino al palo della porta un peluche raffigurante un pappagallo. Il pupazzo in breve tempo divenne una mascotte oggetto di merchandising, almeno fino a quando alcuni tifosi avversari cominciarono a bersagliare (con lancio di petardi o di ….crackers) il peluche e lo stesso Lettieri, con la NASL che vietò al portiere di portarlo ancora in campo.

Storie di un’altra epoca e di un altro Canada, nazionale attualmente a un passo dal qualificarsi per la seconda volta al Mondiale. Storie utili nel fotografare il cambiamento di un paese privo di un’autentica tradizione calcistica, oggi non più presenza folkloristica nel calcio di alto livello ma realtà in crescita dalle basi solide. Basta lanciare un’occhiata alla selezione per rendersene conto: un giovane talento (Alphonso Davies) che gioca nel Bayern Monaco; un altro (Jonathan David) campione di Francia con il Lille e da tempo osservato speciale dai club di mezza Europa; un 38enne veterano (Atiba Hutchinson) con alle spalle oltre 100 presenza tra Champions e Europa League; una serie di giocatori più (Tajon Buchanan, Iké Ugbo) o meno (Richie Laryea, Cyle Larin) giovani in fase ascendente della propria carriera, tutti di stanza nel Vecchio Continente. Un abisso rispetto all’epoca di Ozzie il pappagallo e della Canadian Soccer League, la massima divisione canadese che nel 1992 seguì, otto anni dopo, il destino della North American Soccer League (NASL) chiudendo i battenti travolta dai debiti.

Dal 2019 esiste la Canadian Premier League, campionato che ha reintrodotto nel paese un torneo interamente professionistico dopo gli anni di vuoto causati dalla citata dissoluzione delle CSL. Ma è stata l’inclusione nella Major League Soccer americana dei tre principali club canadesi, Toronto (entrato nel 2007), Vancouver (2011) e Montreal (2012), ad aver fornito il principale impulso all’evoluzione calcistica di un paese intrappolato in una situazione paradossale. A dispetto dell’ampiezza territoriale, infatti, il bacino di pesca della nazionale è sempre stato molto limitato, a causa della dispersione del talento generata da un sistema non professionistico che, di fatto, obbligava i giocatori ad emigrare per potersi costruire una vera carriera. Oppure, in alternativa, essi dovevano accontentarsi di esperienze nelle serie minori, rassegnandosi a una limitata crescita professionale. La MLS ha significato migliori strutture e un contesto più competitivo, che si è tradotto anche in maggiore visibilità a livello internazionale. Il citato Davies è stato pescato dal Bayern Monaco nei Vancouver Whitecaps, in MLS, dove era approdato al termine di un percorso iniziato a livello scolastico a Edmonton e proseguito nel vivaio dei Whitecaps, con le prime esperienze nella squadra riserve nella United Soccer League, secondo livello del calcio USA.

Lo sviluppo di realtà come Toronto (ex squadra di Sebastian Giovinco e futuro club di Lorenzo Insigne), Vancouver e Montreal è andati di pari passo alla professionalizzazione della Federcalcio canadese fortemente voluta dall’ex presidente Victor Montagliani. Attraverso un mix tra la mentalità business oriented americana – che attraverso la ricerca di investitori privati ha raccolto risorse importanti senza dipendere eccessivamente dai fondi pubblici – e le modalità organizzative federali europee, dove ogni posizione è ricoperta da professionisti debitamente formati, Montagliani ha modernizzato un ambiente con scarsissima capacità attrattiva, in primis tra i giocatori, tanto che diversi di loro preferivano non rispondere alle convocazioni per stage o campi di allenamento. Ma anche stampa e addetti ai lavori non potevano certo esaltarsi di fronte a una nazionale che praticava un calcio ruvido, molto fisico e difensivo, con pochissimi spunti (e risultati) degni di nota. Una volta la Montreal Gazette scrisse che “la nazionale di calcio è una delle poche cose di cui il mondo sportivo canadese si deve vergognare”.

Questo processo di professionalizzazione strutturale ha portato a un innalzamento della qualità media della rosa, rendendo il Canada una nazionale più appetibile anche per tutti quei giocatori dalla doppia nazionalità che solo una decina di anni fa mai avrebbero deciso di vestire la maglia dei Canucks. La campagna di arruolamento della Federazione, iniziata nel 2013 con il c.t. spagnolo Benito Floro, ha portato nella selezione elementi quali il portoghese Stephen Eustaquio, il nigeriano Tesho Akindele, l’inglese Ike Ugbo, l’americano Ayo Akinola. Possibilità di scelta è diventata la parola chiave per i selezionatori canadesi. Un cambio di prospettiva ben descritta dall’attuale tecnico del Canada John Herdman, che in un’intervista a The Athletic ha parlato di Marcelo Flores Dorrell, centrocampista classe 2003 di grandi prospettive che ha recentemente debuttato con il Messico. “Flores era stato incluso nella lista dei pre-convocati del Canada per la Gold Cup del 2021”, ha detto Herdman, “ed ha accettato di buon grado. Anni fa sarebbe stata un’opzione che non avrebbe nemmeno preso in considerazione. Poi ha scelto il Messico e va bene così, il suo talento giustifica le sue ambizioni. Ma già averlo messo di fronte a un dubbio per noi è un grande risultato. Vogliamo provocare un sacco di dubbi”.

Herdman è un rarissimo caso di allenatore capace di far evolvere tanto il calcio maschile che quello femminile di un determinato paese. Quando nel 2011 è diventato c.t. della nazionale femminile di calcio del Canada, questa esisteva da nemmeno vent’anni. Herdman l’ha trasformata in una squadra di assoluto spessore internazionale, vincendo la medaglia di bronzo sia alle Olimpiadi di Londra 2012 che a quelle di Rio de Janeiro del 2016, e gettando le basi per il recente oro olimpico di Tokyo 2020 (o 2021), conquistato quando lui è già passato sulla panchina del Canada maschile. Nel 2019 i Canucks si sono fermati ai quarti di finale della Gold Cup, eliminati un po’ a sorpresa da Haiti, visto che schieravano la coppia d’attacco David-Cavalini, la più prolifica del torneo (11 gol in due, con David che chiuse il torneo con una media di 0.66 reti a partita, la seconda migliore nella storia dell’intera competizione). E’ però rimasta l’immagine di Canada diverso, più creativo, più verticale, più aggressivo; soprattutto, a detta della stampa locale, si è trattato di una prestazione di squadra come non si vedeva da tempo. Due anni dopo un altro miglioramento, con l’approdo in semifinale, dove sono usciti contro il Messico per un gol incassato al nono minuto di recupero. Messico però battuto nell’attuale girone di qualificazione CONCACAF al Mondiale; un successo che in Canada attendevano da oltre vent’anni.

Nel 2021 il Canada ha perso 2 partite delle 19 disputate, mentre nelle qualificazioni alla coppa del mondo è ancora imbattuto. A tre turni dalla fine, che si disputeranno tra il 24 e il 30 marzo 2022, la squadra di Herdman vanta 4 punti di distacco su Messico e Stati Uniti, ma soprattutto 8 su Panama, che attualmente occupa la quarta posizione del gruppo, quella che non consente l’accesso diretto in Qatar ma prevede uno spareggio contro la migliore nazionale dell’Oceania. Se non si tratta di una formalità, poco ci manca. Nell’agosto 2014 il Canada occupava la posizione numero 122 del ranking FIFA. Un anno fa era risalito fino al 72esimo, mentre oggi è 40esimo. L’impressione è che non ci saranno altri Vrablic e Lettieri ai prossimi Mondiali.

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