Magari è già stato scritto da qualche parte, ma Stringimi forte del francese Mathieu Amalric è assolutamente il film dell’anno. Cinema stilisticamente e narrativamente libero, lacerante, spiazzante, potentissimo. In una casa rurale di un paesino con vista Pirenei una donna, una mamma (Vicky Krieps), si alza la mattina quando è ancora l’alba. Sfiora silenziosamente con un dito la mano del marito Marc (Arieh Worthalter) assopito su letto, osserva la figlia e il figlio che dormono, abbozza una lista di cose da fare e prendere su un foglio del tavolo della cucina e parte con l’auto (rigorosamente tardo anni settanta) verso una meta imprecisata. Da qui in avanti, sesto minuto di film, tutto procede per slittamenti, sovrapposizioni, sfocature, ipotesi, che poi si traducono in frammenti possibili e probabili del viaggio materno dove la lingua francese si mescola a quella spagnola, in tenere sequenze casalinghe di padre e figli che abbozzano fragili normalità, alla ricerca di un abbraccio familiare che sembra perduto.
Un turbine magmatico binario (parallelo?) che si sfiora, si compenetra in overlapping tra fotogrammi, assonanze, ricordi, polaroid, con il pianoforte suonato dalla figlia che funge da ponte sonoro a congiungere due piani spaziali, temporali (immaginari/immaginati?). Perché riempiamo di punti interrogativi la recensione? Perché Stringimi forte è un film che per una buona ora e venti non dà risposte risolutive, ma che anzi, proprio per via di questa sua sgusciante non verificabilità della verità in scena, per via di questa ricerca singolare di angolazioni, prospettive, vicinanza della macchina da presa ai personaggi inquadrati, meglio osservati, non vuole concedere appigli espressivi e certezze del racconto (dice Clarisse, la madre in fuga: “non sono stata io ad andarmene via”), ma lasciarti appeso al fluire visivo e sonoro inesausto.
La sinfonia della perfezione si compie su più piani. A partire dalla regia, vera e propria messa in scena totalizzante alla Cahiers con Amalric (attore stratosferico sempre, regista di opere ancor più importanti) che si concentra su ogni singolo aspetto tecnico (focus sul suono: note musicali, fruscii, sussurri, grida, voci che danno il brivido acustico della poesia) e artistico (la direzione degli attori, per dirne una, ha del miracoloso) accennando dialoghi invisibili e scrostando improvvisamente il dolore individuale dei protagonisti senza permettere allo spettatore di opporre resistenza. Note a margine, ma mica tanto: le performance pianistiche della figlia di Clarisse e Marc (Schonberg, Rameau, Rachmaninov e soprattutto Martha Argerich) trascinano ben oltre il mero commento musicale penetrando nel testo, nella storia, nella pelle dei personaggi. La “voiture” della fuga è una AMC Pacer Break del 1979. Il cane dei ricercatori di montagna si chiama Easton. No, non siamo impazziti. In Stringimi forte tutto ciò che vedete, ascoltate, immaginate, ogni dettaglio e apparizione ha pari dignità e qualità in scena. Recuperatelo ovunque lo proiettino. Distribuisce per l’Italia, Movies Inspired.